Negli ultimi anni, un numero sempre maggiore di report ha posto Dublino ai primi posti in Europa per costo dell’abitare, davanti a capitali notoriamente care come Parigi o Amsterdam. Ci sono almeno 10mila senzatetto in Irlanda e più di 70mila famiglie sono in lista di attesa per una casa popolare, in un paese che conta meno di 5 milioni di abitanti. È una crisi che viene da lontano.

Fino allo scoppio della grande recessione, l’Irlanda era soprannominata «la tigre celtica». Vent’anni di boom economico senza precedenti avevano portato alla ribalta un paese che fino alla fine degli anni ’80 era considerato la Cenerentola della Comunità Europea. Una parte consistente di questo boom era legata al settore immobiliare: fra il 1991 e il 2007 il prezzo medio di una casa crebbe da 67.000 a 334.000 euro, un dato superiore perfino a quello della Spagna, altro paese in cui si stava sviluppando un’enorme bolla immobiliare. Con la crisi la bolla è scoppiata, i prezzi delle case sono crollati e il settore immobiliare è letteralmente collassato.

CON LA RIPRESA economica, trainata dall’export delle imprese multinazionali basate in Irlanda per godere di un regime fiscale privilegiato, i prezzi hanno ripreso a salire velocemente. Un rapporto del Fondo Monetario Internazionale ha rilevato che negli ultimi 5 anni i prezzi delle case sono saliti in media del 10 per cento l’anno. La progressiva riduzione dell’edilizia popolare a partire dagli anni ’80 ha lasciato la maggior parte della popolazione in balia dell’andamento del mercato privato. A causa delle crescenti difficoltà nell’ottenere un mutuo, molte famiglie si sono riversate sul mercato degli affitti, che ha visto salire costantemente i canoni, che hanno superato i livelli toccati durante l’era della «Tigre».

La situazione è ormai drammatica, specie a Dublino, dove si concentra una parte importante dell’economia irlandese. A fronte di una minoranza di lavoratori dei settori high-tech, che può permettersi di pagare affitti altissimi grazie a stipendi sostanziosi, c’è una fetta crescente di popolazione che fa fatica ad ottenere una abitazione dignitosa. Le categorie più deboli sul mercato immobiliare – le famiglie a basso reddito, gli studenti, gli immigrati – si ritrovano spesso a dover scegliere se sottoporsi a un lungo pendolarismo per arrivare in città oppure a vivere in abitazioni sovraffollate. La pratica di affittare una stanza a Dublino per 5 giorni su 7 alla settimana è diventata sempre più diffusa.

A trainare la crescita dei prezzi inizialmente è stato il rapporto sbilanciato fra la domanda e l’offerta di abitazioni a seguito del collasso del settore delle costruzioni durante la crisi. A questo si è ben presto aggiunta la speculazione. I costruttori preferiscono mantenere l’offerta di abitazioni bassa per far salire ulteriormente i prezzi, oppure trovano più conveniente dirigere l’offerta verso alloggi per soggiorni brevi o costosi student hotel. Il risultato è paradossale: un numero crescente di famiglie senzatetto è costretta a vivere in hotel (almeno 800 nella regione di Dublino la scorsa estate), mentre sempre più appartamenti sono indirizzati ai turisti.

IL GOVERNO HA PROVATO a porre rimedio alla crisi immobiliare introducendo dei limiti annuali agli incrementi degli affitti nell’ordine del 4 per cento in alcune zone. Ma controllare che effettivamente i limiti siano rispettati è difficile, mi dice Mary, attivista dei movimenti per il diritto all’abitare a Dublino, e in ogni caso la regola istituzionalizza il fatto che i proprietari possano aumentare l’affitto di anno in anno. Una nuova legge appena entrata in vigore proverà a limitare l’affitto per soggiorni brevi tramite piattaforme come Airbnb, ma al momento è difficile valutarne gli effetti.

In ogni caso affidarsi alla regolamentazione del settore privato non basta: si dovrebbero invece fare investimenti massicci verso l’edilizia pubblica. Durante la crisi, il governo irlandese aveva creato l’agenzia Nama come bad bank volta ad acquisire i crediti immobiliari tossici detenute dalle banche irlandesi. Questo ha dato il controllo allo stato irlandese di una grande quantità di terreno edificabile. Invece che utilizzare questo terreno per l’edilizia pubblica, il governo ha ceduto una grossa parte degli asset a fondi di investimenti stranieri. Michael Byrne, ricercatore presso University College Dublin, fa notare come questo abbia avuto due effetti negativi: da un lato il settore immobiliare irlandese è ancora più legato agli andamenti della finanza internazionale, dall’altro c’è il costo opportunità di aver ceduto terreno edificabile ai privati per un prezzo basso.

CON L’AGGRAVARSI della situazione abitativa la popolazione ha iniziato a reagire. Nella capitale e in altre città irlandesi sono nati gruppi di inquilini e attivisti che si occupano di diritto all’abitare. Occupazioni di edifici sfitti (presenti in massa nel paese), picchetti antisfratto e azioni comunicative – come l’occupazione temporanea degli uffici di Airbnb a Dublino – sono diventati strumenti di lotta diffusi negli ultimi anni. Attivisti per il diritto alla casa hanno creato il sito Inside Airbnb per mostrare in maniera grafica gli effetti della piattaforma sul mercato immobiliare.

Oltre ai movimenti di base si è sviluppata una coalizione più ampia e istituzionale, Raise the Roof («tirare su il tetto» ma anche «fare casino»), che riunisce sindacati, partiti di sinistra e movimenti sociali, che ha organizzato manifestazioni nazionali che hanno visto la partecipazione di migliaia di persone. Benché queste manifestazioni di dissenso non si siano ancora tradotte in una piattaforma politica capace di articolarle, il tema del diritto all’abitare rimarrà centrale nei prossimi anni, a fronte di una crisi sociale che sembra destinata a protrarsi a lungo.