La Capoeira è danza e lotta nata dagli schiavi importati in Brasile dai portoghesi, relegata alla strada e poi messa al bando. Capoeirista era il termine sprezzante dei golpisti brasiliani per accusare i dirigenti politici e sindacali di sinistra. Ne parliamo con Alessandro Rossi, capoeirista allievo di Mestre Baixinho a Milano, fondatore dell’Academìa di Capoeira Angola. Studioso di espressioni artistiche orientali e africane, ha approfondito le tradizioni latinoamericane e la Capoeira. Ha collaborato con il regista venezuelano Josè Luis Sànchez-Martìn, collabora con la casa editrice ClassicaViva con la quale nel 2010 ha pubblicato la raccolta di poesie L’acqua se il buio.

Che cos’è la capoeira?

Le definizione corrente vuole che sia una danza, una lotta o una via di mezzo tra queste, ma con tale definizione non si coglie l’essenza. Come rituale culturale sincretico altamente complesso, sfugge alle definizioni di genere quali arte marziale, danza, sport, acrobatica, praticandola si comprende perché. Guardando alle culture afro, Cuba, Brasile, Usa, si coglie la polivalenza organica della Capoeira che è etica, simbolica e psicofisica. È più simile ai riti orfici praticati nell’antica Grecia che al pugilato o al karate.

Quali sono le sue origini storiche?

Risalgono allo schiavismo ad opera dei portoghesi dalla fine del ‘500 in avanti tra Africa Centrale e Brasile. Schiavi di etnie diverse portano con sé memorie di danze tribali proprie, forme di combattimento, musiche, riti aggregativi, che fondendosi sviluppano una nuova forma ibridata. La Capoeira viene a formarsi in un contesto particolare, dove per necessità si devono assolvere molteplici funzioni in un’unica forma di «socializzazione»: incontrarsi, raccogliersi ritualmente, fare musica, cantare, danzare, sfogarsi, risolvere regolamenti di conti. Gli schiavi usavano la copertura della danza per allenarsi a combattere, allo scopo di evitare di essere puniti dai padroni. In seguito gli schiavi ribellatisi, sfuggirono alle grinfie dei negrieri e si rifugiarono nelle radure del nordest, fino a costituire piccole città-Stato, quilombos, a conduzione comunitaria. Un’ipotesi dice che la parola «capoeira» designerebbe gli spiazzi erbosi nella radura in cui gli schiavi si allenavano. La capoeira con la fine della schiavitù si propaga all’interno di contesti urbani legati alla vita di strada e alle condizioni di emarginazione dei neri. Poi un’ordinanza dello Stato la spinge verso la clandestinità.

Quanti tipi di Capoeira ci sono?

Due, la Capoeira Regional e Capoeria Angola. Le distinzioni hanno inizio verso il 1930, quando mestre Bimba adatta le movenze classiche alla sua corporatura alta e atletica, modificandone fortemente lo stile, e si rivolge alle autorità statali nel tentativo di rendere legale la Capoeira. Quando viene ufficializzata si configura come arte della lotta, lotta regionale di Bahia, nel senso di folclore di cultura locale, di qui la Capoeira Regional. Dalla Capoeira istituzionale, la Regional, nasce una nuova forma che mestre Pastinnha e i suoi sostenitori chiamano Angola. Ulteriori modifiche nascono quando la Capoeira Regional ingloba gli sport da combattimento, fino al recente boom delle arti marziali miste.

Dobbiamo considerarla solo un’attività fisica o anche altro?

La dimensione fisica è imprescindibile essendo una disciplina faticosa, molto tecnica e tattica, ma è anche altro. È un rito artistico di combattimento reale, variabile nell’intensità e nella violenza. L’Angola ha conservato intatto il nucleo relazionale e anche quello spirituale. Non si ricorre alla forza bruta dell’impatto dei colpi, ma alla precisione, all’astuzia, alla bellezza, alla gestione strategica del gioco, alla classe vera e propria nel condurlo. La Regional ha enfatizzato sia la bellezza estetica sia l’esplosività acrobatica, stilizzando molto l’aspetto marziale.

C’è una parte rituale in questa disciplina?

Tutto è rituale, a partire dal modo in cui si vestono gli indumenti di gioco. Ancor più rituale è la parte dedicata alla musica e ai canti. Si è capoeiristi completi solo quando si sanno suonare tutti gli strumenti della baterìa, l’insieme di strumenti che si suonano quando si accompagna il gioco, e si conoscono testi e significati di centinai di cori. Non basta saper lottare. Inoltre, c’è tutto il codice non scritto dei gesti. La Capoeira è un punto di incontro tra la forza della danza di mimesi animale, la festa di paese, il teatro antico, la scorribanda tra ragazzacci e l’improvvisazione jazz.

C’è una struttura gerarchica nella Capoeira? Il Maestro è il capo anche quando gioca-lotta con voi?

Sì esiste, ma bisogna distinguere, nella Regional ci sono 11 cinture (cordao) progressive, come nel Judo, al cui vertice c’è il grado di mestre. Nell’Angola no, si è allievi sempre, fino a quando si diventa trenel o professor, solo dopo molti anni di pratica col ruolo di insegnante si può essere designati mestre. Un maestro è sempre tale, quando joga con l’allievo ha la capacità di scatenare in lui una quantità di stati d’animo e di reazioni dinamiche: rabbia, gioia, paura, azzardo, spingendoti a conoscere il tuo limite ti invita a non avere riguardi per lui e rischiare per crescere. Tra allievi invece devi stare più attento, è facile prenderle davvero. Il mestre ti mette a nudo non solo tecnicamente, ti mette a nudo come persona

La Capoeira ha avuto un significato anche politico?

Certamente, come momento di affermazione identitaria di esseri umani, ridotti alla schiavitù, che si liberano. Lo è stata anche in seguito, quando si accusavano i dissidenti politici, i diversi, gli oppositori culturali di essere capoeiristi, per giustificare la loro carcerazione. Negli anni ’60 la sinistra brasiliana ha fatto della Capoeira una sorta di baluardo delle radici culturali non europee del Brasile. Oggi di politico non è rimasto molto.

Con la sua diffusione di massa ha assunto forse un significato che si può definire sempre più commerciale?
Non c’è dubbio che l’impatto spettacolare e il coinvolgimento che genera la Capoeira in coloro che la osservano, ha come effetto positivo la diffusione rapida e sistematica. Commerciale, perciò, significa che è esportabile, ma non essendoci imprenditori della Capoeira che siano anche capoeiristi non è «commerciale». Certo, i creativi pubblicitari e i tour operator hanno fatto leva e lucrato sulla Capoeira, per vendere pacchetti turistici, questo senso la Capoeira è [VINT_RISPOST]diventata commerciale.

In Italia quanti gruppi ufficiali esistono?
Quelli censiti sono 88, in 53 diverse città, con Roma in testa e Milano al seguito. La maggior parte sono gruppi di Capoeira Regional e contano molti più allievi, benché l’Angola sia in crescita, molti hanno praticato entrambe gli stili.

I flussi migratori hanno contribuito alla diffusione della Capoeira e alla sua evoluzione-trasformazione?

La sua diffusione di massa oltre il Brasile, è avvenuta quando il turismo internazionale bianco e benestante ha scoperto la bellezza delle rode di strada e ancor più le piccole competizioni sulle spiagge di Bahia o di Rio. I flussi migratori sono successivi e sono quelli di mestre capoeiristi chiamati dai paesi del primo mondo interessati a conoscerla.

Qual è il suo valore culturale e artistico?

È paragonabile al tango argentino, al kalaharypayattu indiano, al kung fu cinese, al flamenco spagnolo, alle danze Maori, al teatro Noh giapponese, ai riti della tarantella salentina, ma alla fine è un genere unico, essendo frutto della schiavitù. In questo senso, è più simile alla cultura afroamericana, che va dagli spirituals fino al rap, passando per la break dance e tutta la cultura hip hop postmoderna o le forme cultuali cubane sincretiche.