Trovare un tampone in tempi rapidi non è un problema solo a Milano. Anche a Roma, trovare un test molecolare è diventata un’impresa. «Non prima del dieci gennaio» raccontano al manifesto i medici di famiglia che hanno provato ad attivarsi per i propri assistiti. Il sistema dei tamponi è ingolfato soprattutto nelle grandi città, dove si concentrano le occasioni di incontro e assembramento per ragioni di lavoro o di piacere. Code di ore si registrano anche agli ospedali di Pozzuoli e Giugliano e all’hub di Pomigliano, che servono l’hinterland napoletano.

Traffico paralizzato anche intorno alla Fiera del Mediterraneo a Palermo, sede di un «drive-in» capace di effettuare oltre 1.500 tamponi in mezza giornata.

Già, perché alla Fiera l’orario di chiusura è fissato alle 14. Così come in molti drive-in di tutta Italia. La mancanza di personale ha costretto le Asl a chiudere gli hub aperti durante le precedenti ondate o a ridurne l’orario di attività. Molti operatori assunti a termine grazie all’emergenza pandemica sono tornati a casa o devono coprire anche i turni nei centri vaccinali anch’essi indaffaratissimi con le dosi booster. «Dei militari di Figliuolo, che avrebbero dovuto darci una mano, non ne abbiamo visto nemmeno uno» racconta un dirigente di una Asl del Lazio.

ANCHE GLI ALTRI CANALI faticano. Farmacie e laboratori privati lavorano a pieno regime e sono presi d’assalto soprattutto da chi ha bisogno del green pass per lavorare, o per non contagiare amici e parenti prima di una cena. Ma fare la fila in strada per un test antigenico a bassa sensibilità non è un’opzione praticabile per chi ha sintomi del Covid-19 o ha bisogno di un responso affidabile.

Poi ci sarebbero i medici di famiglia, anche loro chiamati a effettuare tamponi nei loro studi. Ma l’adesione alla campagna di screening è volontaria e i medici coinvolti sono stati pochi. «Un terzo dei colleghi nel Lazio, sparute minoranze in Lombardia» è il quadro indicativo e scoraggiante presentato al manifesto da Pierluigi Bartoletti, vice-segretario della Federazione italiana medici di medicina generale.

Ma il loro mancato apporto si spiega anche con le falle istituzionali. «I medici di base – racconta Bartoletti – sono vincolati a utilizzare i tamponi forniti dal Commissario straordinario all’epoca della gestione Arcuri», dieci milioni di kit acquistati dalla farmaceutica sudcoreana Rapigen. Sul campo, tuttavia, i test si sono rivelati poco sensibili: 6 test su 10 erano sbagliati, secondo alcuni studi, e il 25 ottobre il ministero è stato costretto a declassarli. «Oggi i test dei medici di base sono validi ai fini diagnostici ma non consentono di ottenere il green pass. Questo – spiega Bartoletti – ha scoraggiato gli assistiti a rivolgersi ai medici di famiglia» rendendo ancor più marginale un canale già sotto-utilizzato. Nel Lazio ora i medici si stanno auto-organizzando. «Con l’ok della regione, acquisteremo test antigenici rapidi di terza generazione per effettuare i test in studio e contribuire a rispondere all’emergenza». Per attrezzare gli studi ci vorrà del tempo che la variante Omicron non concede.

CON GLI HUB IN TILT, i medici di base fuori gioco e le farmacie intasate dai «cenonisti», ottenere un test affidabile per chi ne ha davvero bisogno è diventato difficilissimo. Alla scarsità di risorse sanitarie si è sommata l’inefficienza della loro gestione. A gonfiare la domanda di tamponi è stato lo stesso governo. Il sistema è andato in tilt quando la domanda giornaliera ha superato il milione di tamponi. Di questi, circa un terzo sono effettuati per ottenere il green pass e accedere al luogo di lavoro, in base al Dpcm del 12 ottobre. La norma, una sorta di manifesto politico per il governo Draghi, fu introdotta senza calcolarne l’impatto sui servizi sanitari. Il bisogno di tamponi per recarsi al lavoro è stato amplificato da un’altra decisione-spot del governo, la fine dello smart working decretata dal ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta.

E anche la decisione di ridurre il ricorso alla didattica a distanza attraverso i tamponi ripetuti ai contatti scolastici ha aumentato la pressione sugli hub. Con un sistema di tracciamento sin da subito inadeguato: per orientarsi nel caos ai cittadini è toccato improvvisarsi virologi per decidere su contatti stretti, isolamento e tamponi. Le nuove norme varate ieri dal governo, con la fine della quarantena per i contatti asintomatici, ridurranno il fabbisogno di test. Ma al momento riguardano solo il 50% degli italiani che hanno ricevuto la terza dose o si sono vaccinati negli ultimi 4 mesi.

I RITARDI DEI TEST rischiano di compromettere anche le cure. Gli anticorpi monoclonali e i nuovi, attesissimi farmaci antivirali disponibili dall’inizio del 2022 devono essere assunti entro i primi tre giorni dalla comparsa dei sintomi. Dunque, richiedono una diagnosi molto precoce del Covid. Se i test non arriveranno in tempo, anche queste terapie saranno vanificate.