Una interessante decisione della Terza Sezione Penale della Cassazione (12/2018) sembra portare un po’ di chiarezza sulla «cannabis light». Per la Suprema Corte la vendita di prodotti derivati dalla cannabis industriale, ovvero quella «light» regolata dalla legge 242/2016, è possibile laddove il limite dello 0,2% del principio attivo psicotropo (Thc) sia rispettato.

La Corte dice anche che per la contestazione dello spaccio non è sufficiente superare tale limite, ma è necessario che si superi «l’effetto drogante rilevabile», fissato in giurisprudenza allo 0,5%. Le motivazioni forse potranno chiarire ancora meglio il quadro sugli usi consentiti per le infiorescenze. Si conferma comunque l’interpretazione (cfr. Bulleri, il manifesto del 30/5/2018) che sosteneva che il limite dello 0,6% fosse una semplice clausola di salvaguardia dalle conseguenze penali per il coltivatore che si fosse trovato, per le normali variazioni colturali della canapa, con piante che in campo superassero tale limite. Questo mette fuori dalla legalità i prodotti che in questi mesi di incertezza normativa avevano giocato sulla forbice 0,2/0,6% di Thc per stare sul mercato.

È auspicabile che i ministri Salvini e Fontana, lanciatisi in questi mesi nell’insensata guerra anche al «canapone» rispettino la scelta della giurisprudenza. Salvini con una circolare di fine agosto ha dato il via a numerosi blitz e sequestri di canapa in tutta Italia con rischi di conseguenze tragiche come è accaduto a Genova a metà settembre durante una brillante operazione che ha provocato il ferimento di una ragazza e del suo cane per realizzare il sequestro di una pianta di canapa industriale.

Per rafforzare il filone farsesco Fontana a metà ottobre ha rilanciato l’allarme dell’ex capo del Dipartimento antidroga Serpelloni rispetto alla possibilità di farsi una canna concentrando il Thc di 20/30 grammi di cannabis light. Usare un simile argomento è davvero incredibile. Secondo lor signori un giovane per farsi uno spinello del costo di 10 euro sul mercato nero, forse per amore della legalità, farebbe la scelta di spendere 200 o 300 euro per acquistare il quantitativo di cannabis light per raggiungere lo scopo. Per fortuna non sono i giovani a essere fuori di testa.

Ma qual è il motivo del successo di un prodotto che pur essendo molto simile a quello illegale, non ha gli effetti psicotropi dell’originale? Si possono forse individuare in particolare due modelli di consumatori a lungo termine: coloro che usano la canapa light come succedaneo del tabacco insieme a quella illegale, e coloro che per età, per indole o per impegni lavorativi all’effetto «high» del The preferiscono l’effetto più rilassante del Cbd. Chi invece pensava di trovare «quella vera» nei grow shop[, è probabilmente già ritornato al mercato nero. Non è un caso che, dopo il boom iniziale, il mercato sia oggi in stallo.

C’è però un interessante lavoro di tre ricercatori universitari, Carrieri (Catanzaro), Madio (York) e Principe (Salerno) che prova a fare i conti di quanto il mercato della cannabis legale abbia influito su quello illegale. Secondo lo studio, che ha confrontato i sequestri di sostanze derivate dalla cannabis prima e dopo l’entrata sul mercato legale di quella light, quest’ultima ha determinato una riduzione dell’11/12% dei sequestri di cannabis laddove esisteva un grow shop. Addirittura, il calcolo delle minori entrate per le narcomafie dovute all’effetto sostituzione arriva fra i 160 e i 200 milioni di euro. Al di là delle cifre, «questi risultati supportano la tesi che, anche se in un breve periodo di tempo e pur con un sostituto imperfetto, gli operatori criminali del mercato illegale delle droghe sono rimpiazzati dai negozi legali».

La decisione della Cassazione e lo studio sulla cannabis light online su Fuoriluogo.it