Dopo la sentenza n. 30475/19 del 30.5.2019 delle Sezioni unite della Cassazione sulla commercializzazione dei derivati della cannabis sativa L il mondo dei produttori e dei commercianti di tali prodotti si sta interrogando sulle possibili applicazioni pratiche. In un primo momento sono intervenute tre distinte ordinanze dei tribunali del riesame di Genova, di Salerno e di Ancona i quali hanno stabilito che possono essere lecitamente commercializzati tutti i prodotti con una percentuale di principio attivo inferiore allo 0,5% di Thc in quanto non stupefacenti o psicotropi e che i sequestri al fine di condurre le analisi per il rilevamento del principio vanno effettuati a campione e non su tutte le confezioni di tali prodotti.

Queste pronunce avevano riaperto spiragli sulla commercializzazione dei derivati della canapa sativa L sempre che avessero un tenore di principio attivo inferiore allo 0,5%. Una più rigida applicazione dei principi statuiti nella sentenza delle Sezioni unite viene invece avanzata dalla Procura di Parma che ha proceduto ad una massiva azione di perquisizioni e di sequestri contro una serie di commercianti e produttori/commercianti di derivati della canapa.

La tesi della procura parmense è quella per cui la cessione, la vendita e in generale la commercializzazione al pubblico dei derivati della cannabis sativa L quali infiorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui al 73 DPR 309/90 anche a fronte di un contenuto di thc inferiore ai valori indicati all’art. 4 commi 5 e 7 della L. 242/2016 (ovvero allo 0,6%) salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa secondo il principio di offensività.

Si afferma quindi un divieto pressoché assoluto della commercializzazione di tali derivati e si dispone il sequestro di tutte le scorte di tali prodotti presso una serie di aziende che provvedono alla loro commercializzazione nonché di tutta una serie di prodotti la cui commercializzazione è senza dubbio lecita quali accendini, cartine, macinini, gas butano, estrattori ritenendoli cose pertinenti al reato in quanto comprovanti una finalità ricreativa dei prodotti messi in vendita.

La Procura parmense porta alle estreme conseguenze l’interpretazione restrittiva data dalle Sezioni unite sulla materia, una pronuncia quella del 30 maggio che in alcune parti si palesa quale illogica. Si sostiene infatti che possono detenere solo i prodotti tassativamente elencati dall’art 2 comma II della L. 242/16 quali carburanti e/o fibre ma non «hashish» e «marijuana», dimenticandosi volutamente che tra le destinazioni lecite della legge vi siano la produzione di alimenti e cosmetici (secondo la normativa di settore) e il florovivaismo che secondo la Enciclopedia Treccani è «attività professionale di coltura e vendita di piante e fiori recisi a scopo ornamentale».

Come autorevolmente sostenuto su questa rubrica dal Presidente di Magistratura Democratica Riccardo De Vito, (il manifesto 31 luglio 2019) la sentenza delle Sezioni unite della Cassazione non ha definitivamente chiarito l’estensione dell’ambito di applicazione della L. 242/2016, se da un lato, e con una certa coloritura ideologica, si sostiene il divieto di commercializzazione dei derivati quali olio, infiorescenze e resina dall’altro rimanda al Giudice di merito l’accertamento dell’offensività della condotta e della presenza di effetto drogante, giungendo anche a confondere il principio di offensività con il non penalmente rilevante.

Vedremo come si pronunceranno sul punto i giudici del Tribunale del riesame parmense adito dagli indagati di quell’inchiesta e se daranno un’interpretazione in linea con tale orientamento o se invece si attesteranno sulle posizioni assunte dalla Procura.

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