Si è conclusa senza grandi novità anche la riunione a Vienna della Commission on Narcotic Drugs (Cnd) dell’Onu, che ha seguito il Segmento Ministeriale già analizzato in questa rubrica (Susanna Ronconi, il manifesto del 20 marzo 2019).

La dichiarazione finale conferma la cecità e l’ipocrisia di un sistema internazionale che prima si loda per l’implementazione dei processi, poi evita accuratamente di valutarne l’efficacia.

È esemplare come alle cinque righe di lode dei «tangibili progressi» nella raccolta di dati, di analisi e di scambio di informazioni sul problema delle droghe ne seguano infatti 27 in cui si attestano la continua espansione dei mercati di droghe illecite, i livelli record raggiunti da coltivazioni e consumi di droghe, l’aumento delle morti droga-correlate nel mondo e la stabilità dei tassi di trasmissione di Hiv e Hcv. Ciononostante, obiettivi e mezzi rimangono gli stessi, e i richiami alla centralità dei Diritti Umani e alla flessibilità delle convenzioni introdotti nel 2016 risultano non enfatizzati. Sulla legalizzazione della cannabis la Russia ha tentato un attacco diretto a Canada e Uruguay (e Stati uniti), proponendo una risoluzione per il rafforzamento del ruolo dell’Incb (International Narcotics Control Board). Un paragrafo poi espunto esprimeva «profonda preoccupazione per la legalizzazione dell’uso non medico di determinate droghe in alcune regioni, che rappresenta una sfida all’attuazione universale delle convenzioni sul controllo delle droghe, una sfida alla salute pubblica e al benessere, in particolare tra i giovani, e una sfida agli Stati aderenti alle convenzioni». Una lunghissima trattativa – terminata venerdì dopo pranzo – con il sostegno di Usa e Olanda ha modificato decisamente il senso del testo. Del resto l’Incb e il suo Presidente, il thailandese Viroj Sumyai, non hanno certo mai nascosto la loro irritazione per le legalizzazioni nelle Americhe.

L’agenzia ha dedicato l’intero primo capitolo del suo ultimo rapporto alla cannabis e ai «molti» rischi e «pochi» benefici del suo uso, medico e non.

A Vienna Viroj Sumyai a precisa domanda ha risposto, con malcelata irritazione, che «la legalizzazione dell’uso non medico della cannabis contravviene i trattati internazionali sul controllo delle droghe».
Per fortuna è un organismo inutile e basta replicare a muso duro e si tacciono.

Dunque, questa sessione sembra essere stata solo il preludio allo scontro che si preannuncia per il 2020, quando la raccomandazione dell’Oms per la revisione della classificazione della cannabis nelle tabelle delle convenzioni arriverà sul tavolo della Cnd. La raccomandazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), basata su una solida revisione della letteratura scientifica, propone l’eliminazione della cannabis dalla tabella IV delle droghe pericolose senza uso terapeutico della prima Convenzione del 1961 (cfr. rubrica di Perduca e Long su il manifesto del 27 febbraio 2019).

Tale riclassificazione costituirebbe un volano per la legalizzazione dell’uso medico a livello globale, anche se non sufficiente per aprire all’uso ricreativo. Questo obiettivo può contare sulla flessibilità delle convenzioni esplicitata ad Ungass 2016 e confermata la scorsa settimana a Vienna. È evidente che sulla raccomandazione dell’Oms, la cui pubblicazione era prevista nemmeno un mese dopo l’avvio della legalizzazione in Canada, hanno pesato molto le pressioni politiche, in particolare della Russia. Non è un caso il curioso ritardo di trasmissione, che ha di fatto permesso il rinvio della sua discussione. L’interrogativo politico del prossimo anno riguarderà se e come intervenire sul mantenimento della cannabis in tabella I, proposto dall’Oms dopo una revisione scientifica che invece non ne giustifica la collocazione fra le droghe pericolose.

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