Càpita che le persone che condividono una passione smisurata si possano al tempo stesso amare e odiare. Talvolta uno dei due sentimenti prevale nettamente, talvolta invece si alternano, oscillando paurosamente sulla bilancia della bipolarità, affezione o destino che riguarda non pochi spiriti liberi, artistici, poetici, letterari.

ANNI FA INCONTRAI CARLO Grande sulla carta, poi di persona e non fu, come talora accade, un incontro piacevole; probabilmente fu colpa mia, oppure erano i nostri modi che si sono mal adagiati gli uni agli altri, o ancora chissà. Per anni non ci siamo parlati ma poi finalmente ci siamo (ri)trovati. È un peccato quando a muoverti sono montagne simili non riuscire a volersi un po’, quantomeno, di bene. Oltre ad essere un giornalista da immemore tempo de La Stampa e Tutto Libri (ora infaustamente TTL), Carlo Grande, classe 1957, ha vergato la carta seminando lungo il percorso libri molto letti, soprattutto dagli amanti della cosiddetta natura: penso ad esempio a La via dei lupi (2002), penso ad esempio a La cavalcata selvaggia (2004), penso ad esempio a Terre alte (2008). Come non pochi autori ad un certo punto, immagina chi scrive, si è sentito superato dalla nuova rampante generazione di autori che la natura la vogliono scoprire tutta loro, finendo, non a caso, per ribadire concetti, emozioni, esperienze che chi è venuto prima, così come chi verrà tra dieci o vent’anni, andrà a ripetere, o meglio, a rinnovare.

RECENTEMENTE LE EDIZIONI della rivista Ombrone, dirette da un ex giornalista toscano, Paolo Tesi (La Repubblica), ha dedicato due numeri ad una scelta di articoli composti da Carlo Grande nell’arco di dodici anni sulle colonne del quotidiano torinese: Il tempo degli animali, quindi Animalia. Trentuno movimenti arricchiti dalle illustrazioni della pistoiese Gloria Iozzelli, Ma che animali vi possiamo incontrare? Cavalli, faine, galli, lupi, capre, gufi, topi, rettili, anitre, martin pescatori, codirossi, cani e gatti, asinelli, cinghiali, tassi e altri ancora. Insomma, un buono «zoo aperto», per citare un classico di Danilo Mainardi. Gli alberi, tra tanta fauna, non mancano, ad esempio compaiono ulivi e mimose.

MA CHE COSA SI ANIMA in questi ritagli di giornale? Perché li dovremmo ripescare dalla carta stantia? Per la più semplice delle ragioni, anzi due: poiché ciascun autore che manifesta un occhio, un’attenzione per i movimenti e le dimensioni naturali e naturalistiche al fondo finisce per parlare di se e di noi, dell’umanità. Quando Carlo Grande scriveva di Fenoglio, di robiole e di capre era lui, ma oggi, al posto suo potremmo esserci noi, poiché le capre «da millenni sono al fianco dell’umanità, aiutano a far rinascere colline meravigliose; furono tra i primi animali ad essere addomesticati, nel belato di una capra “dal viso semita” un poeta come Saba ha sentito tutto il dolore del mondo».

«È UN GUASTATORE NOTTURNO, un funambolo, un predatore veloce ed eclettico capace di correre anche sui fili del telefono, di vivere vicino all’uomo senza farsi notare». Di chi sta scrivendo Carlo Grande? Quale predatore rapido che si aggira nel sottobosco di notte potrebbe essere? Che vive vicino all’uomo ma al contempo lo evita? La faina? L’ermellino? La donnola? Quale di questi mustelidi?

INCONTRIAMO L’AMICO corvo, che così tante volte ci accompagna nei nostri vagabondaggi agresti, ma che Carlo Grande ricorda per la sua fugace fama cinematografica, tra visioni dark (Il corvo) e le astruse e simpatiche insistenze pasoliniane, in Uccellacci e uccellini, correva l’anno 1966. Totò perlustra le periferie romane con un corvo che incarna la figura di un atipico intellettuale: «parla in modo altisonante e retorico, perché, si sa, l’intellettuale è uno che rende difficile le cose semplici, l’artista rende semplici le cose difficili». La devo ricordare questa distinzione… il che riporterà alla memoria di alcuni lettori la gazza-poeta che vive per sempre nelle pagine di Dino Buzzati e nella pellicola del film che ne girò, diverse stagioni dopo, il mio conterraneo Ermanno Olmi.

AVETE MAI VISTO un codirosso? Se fate una ricerca su Google lo troverete subito, magari vi ricorda anche un episodio che avevate rimosso, o semplicemente affogato tra tanti altri. Si tratta di un passero dalla testa scura con pennellate d’arancio sotto la coda, e talora anche sul petto. Può raggiungere il peso di 15 gr, quasi impalpabile, eppure più che sufficiente: «In montagna fa il nido nelle buche e nelle fessure delle rocce e in pianura nei muri e sui cornicioni». Migra, tra il nord Europa e le nostre latitudini, un esserino così minuto capace di percorrere migliaia di chilometri. La femmina depone uova azzurre, candide, sembrano quasi inventate, ma come è risaputo, la verità supera spesso i voli della fantasia.