«Mi candiderò alla segreteria del Pd se capirò che può essere utile»: il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, ieri a La7 ha sostanzialmente annunciato la sua discesa in campo. «Non sono importanti i nomi – ha proseguito – e ho poco apprezzato alcune autocandidature di questi giorni. Dobbiamo prima capire in che direzione si vuole andare perché se partiamo con le autocelebrazioni, prima di decidere che percorso intraprendere, non andiamo lontano». È proprio la questione dell’identità che rischia di spaccare il partito lungo la linea di faglia destra-sinistra interna.

«ABBIAMO PERSO le elezioni perché non avevamo un’identità precisa – l’accusa di Bonaccini -. Dovremmo allearci con chi condivide un programma riformista e progressista per poter battere le destre. Il Pd deve essere un partito di sinistra, radicato sul territorio e presente con le persone. Il M5s ha preso voti di chi cercava protezioni. E questo ci deve far riflettere. Ora, dopo il voto, penso che sia indispensabile discutere con tutti quelli che si troveranno in un’alleanza progressista».

A FARE L’ANALISI DEL VOTO è stato anche il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca. Le critiche affidate a un discorso dai toni motivazionali, da life coach: «Avverto fra la nostra gente un clima di depressione, di “fine della storia” – si legge -. Credo sia indispensabile uscire subito da questo stato d’animo. Il colpo è stato duro. Ma occorre reagire con forza. Chi si è stancato, stia a casa. Nei nostri confronti è cresciuto un sentimento di insofferenza, di estraneità. Veniamo percepiti come un misto di presunzione, di supponenza e di inconcludenza. Parliamo una lingua morta».

QUINDI LA CRITICA si fa più precisa: «Offriamo, il più delle volte, un personale politico senza legame con i territori, cresciuto nelle stanze ammuffite delle correnti. Non si vede gente che provenga dalla fatica e che conosca l’odore della terra bagnata, o il rumore di una fabbrica o l’angoscia di una vita di povertà. Il Sud è scomparso dall’orizzonte da anni. Si rischia di diventare un partito meno che regionale». I paracadutati, «i figli di» e la totale assenza del Sud: «Incredibile – il commento di un dirigente locale -. De Luca tutte queste perplessità poteva farle presente al figlio Piero, deputato rieletto grazie al primo posto nel listino a Salerno, capogruppo uscente alla Camera».

IL DISCORSO di De Luca termina con: «Occorrono chiarimenti di fondo». Quali sono le intenzioni del governatore? Il congresso nazionale a Napoli trascinerà con sé anche quello regionale e provinciale. Il partito regionale, infatti, è commissariato. Lo stesso De Luca aveva provato alla vigilia della campagna elettorale a sostituire il segretario Annunziata (suo fedelissimo) con Stefano Graziano, in accordo con Enrico Letta. Il colpo di mano non è riuscito e il Nazareno è stato costretto a mandate il commissario. Il che non ha impedito a Letta di accordarsi con De Luca e condurre una campagna elettorale che è andata male. Tra catapultati e liste compilate a Salerno, il Pd alla Camera in Campania 1 è al 14% (168.654 voti), nel 2018 era al 12 ma con 186.596 voti.

SI VOTERÀ anche per il prossimo segretario di Napoli: Marco Sarracino ha al suo attivo due tornate amministrative vinte (2020 e 2021), il suo mandato si può considerare concluso. Eletto parlamentare, lascia la segreteria in modo che la discussione sia a campo aperto. Un campo in cui si scontreranno due visioni: chi vuole dare la scalata al partito e chi vuole una fase costituente di un nuovo soggetto con chiare connotazioni di sinistra. «Siamo dinanzi a una sconfitta che ci obbliga a ripensare tutto. A eventi straordinari devono corrispondere risposte altrettanto straordinarie. C’è da riorganizzare un pensiero fondamentale, una linea politica netta e radicale. A questa destra si risponde con più sinistra» la posizione di Sarracino. De Luca, allontanate da sé le responsabilità per l’esito del voto in Campania, potrebbe provare a intestarsi la battaglia per il Sud offrendosi come contraltare del governatore dell’Emilia Romagna Bonaccini, obiettivo minimo il terzo mandato in regione. Ma la sinistra del partito guarda a un rinnovamento facendo asse con Orlando, Provenzano, Speranza ed Elly Schlein.

E POI C’È IL SINDACO di Napoli, Gaetano Manfredi. Non è iscritto al Pd ma è un tecnico d’area che fa politica. Letta l’ha escluso dalla cabina di regia per le politiche. Manfredi ha lavorato a una rete di sindaci (a partire da Bologna, Firenze e Bari) per mettere in campo una visione alternativa a quella sconfitta nelle urne: centralità alla questione sociale, al Sud e alle aree metropolitane. L’opposto del regionalismo differenziato, del Nord come locomotiva del paese e della «teoria del gocciolamento» che è servita a drenare risorse verso i ceti abbienti.