Il sesto senatore di Renzi ancora qualche mese fa del partito di Renzi diceva: «È ambiguo, vuole disgregare il Pd». E fino a ieri stava nella corrente (neonata) di Enrico Letta, agli antipodi di Renzi in teoria. Invece Enrico Borghi, eletto al senato per la sua terza legislatura sotto il simbolo del Pd, capolista nel proporzionale in Piemonte 2, molla il partito di Schlein e si trasferisce. Molla proprio per Schlein: «Dal 26 febbraio (cioè da quando ha vinto le primarie, ndr) è avvenuta una mutazione genetica del Pd e io non potevo non prenderne atto».

È il primo vero transfuga della legislatura, non considerando gli spostamenti all’atto di formazione dei gruppi. E come tutti i transfughi non ci pensa proprio a dimettersi, non si dica da senatore ma neanche dal Copasir, il comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti di cui è tornato a far parte senza però riuscire a conquistarne la presidenza (altro motivo, immaginiamo, di amarezza).

Il Pd scende a 37 senatori, il gruppo di Azione-Italia viva sale 10. Ma è un gruppo che sopravvive per inerzia allo scazzo stellare tra Renzi e Calenda, dunque può durare poco. Ragione per cui Borghi fa molto comodo a Renzi: è il sesto che sta con lui. Calenda è surclassato ma soprattutto con sei senatori un partito che ha presentato il suo simbolo alle elezioni (e Italia viva lo ha fatto, preveggente, in piccolo sotto le insegne di Calenda) può costituire un gruppo autonomo. Al momento la presidente del gruppo unitario Paita, renziana, nega questa eventualità e anche Renzi, ma l’esperienza insegna che non vuol dire molto.

L’addio di Borghi ha colto di sorpresa il Pd, tutti sapevano che Renzi era in cerca del sesto uomo (o della sesta donna) ma tutti guardavano altrove, in Forza Italia o nel misto. Da qui la rabbia dei dem, specie degli ex compagni di corrente. «È un gesto di gravità inaudita – dice Marco Meloni, che ai tempi di Letta era coordinatore della segreteria – quello che Borghi dice sulla segreteria del Pd somiglia in modo inquietante alla caricatura che ne fa la destra e così viene meno all’impegno assunto con gli elettori».

Amareggiato e deluso si dichiara il capogruppo del Pd al senato Boccia, che chiede a Borghi di dimettersi dal Copasir. Cosa che non farà, il regolamento lo protegge. Lo dice il presidente del Comitato Guerini, che spiega come il rapporto paritario (5 a 5) tra membri di opposizione e di maggioranza resti rispettato. Ma adesso Iv avrà due commissari e il Pd uno, proprio Guerini che è anche il leader della corrente degli ex renziani e dell’uscita di Borghi dice: «Non bisogna drammatizzare, ma neanche liquidarla con un’alzata di spalle».

Il messaggio è per Schlein, che evita di commentare e si concentra sui temi economici (ieri ha incontrato le parti sociali). Ma è possibile che debba assistere ad altri addii, il prossimo dall’europarlamento dove la deputata Chinnici pare stia puntando Forza Italia.