EFTIMIOS (1/41)

 

Quando adolescente, Eftimios era di tutti i colori.

Parlare, parlava poco, preferiva ascoltare. I cani, che si rimbeccavano di notte nella valle. Gli aerei, che atterravano e rivolavano da una striscia di terra dietro il lago, davanti al mare. I ragazzi e le ragazze in festa nei boschi e nei paesi circostanti. Facevamo a gara, lui ed io, a chi li sentiva per primo, e la prova della vittoria certa l’avevamo soltanto se il rombo o i canti si avvicinavano, l’automobile sempre prima dagli occhi di civetta, dietro alberi o curve. Non vinceva sempre lui, ma ci provava sempre.

Parlava poco, bastano poche parole, no? Ascoltava sempre. Si possono serrare gli occhi, ma le orecchie? Abbassi le palpebre, e a secondo della luce presente nella stanza nel corridoio sulle scale cala un velo arancione, rosso, viola, marrone, blu, nero, ma continui a sentire, anzi meglio, i sussurri, le mezze parole, i rumori dei passi per non farti sentire, gli scambi di sguardi per non farti sapere quanto stai male.

Erano ormai tre settimane. In una clinica ormeggiata a Roma, di fianco alla Nomentana, entravano e uscivano frusciando dalla camera singola camici bianchi di dottoresse e dottori. Aggiungi al bianco delle lenzuola, dei cuscini, dei muri, del comodino, dell’armadietto, dei fili lattiginosi delle flebo, delle tende, delle imposte delle finestre, delle angoliere, dei battiscopa, dei pavimenti, delle porte, aggiungi i bianchi dei camici ed è più del necessario, no? “Andiamo a casa, papà?” “Andiamo.” Ciao dottori.

Sulla Cassia, un pomeriggio dell’ottantasei, corre la familiare verso la casa tra gli alberi al lago, io alla guida lei sorreggendo in aria la flebo che finisce nello sterno ancora tenero, ancora sterno di Eftimios, lui al mio fianco. Guarda davanti a sé. Per distrarlo scherzo, lo faccio ridere e lui con la mano destra sul petto la sinistra a pregarmi ridendo piano di non farlo che gli salta la farfallina. Taccio. Volge gli occhi in alto a sinistra per un lungo tratto, poi con un filo stupefatto di voce: “Guarda papà, guarda tutti i colori del cielo…”

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