Baci, abbracci e il conto. Che la Gran bretagna non sembra però intenzionata a saldare. Il premier britannico David Cameron, in Giamaica per una visita di due giorni, oltre all’affettuosa accoglienza della sua omologa Portia Simpson Miller si trova di fronte alla richiesta di un risarcimento economico per il ruolo avuto dal suo paese nella tratta degli schiavi.

Miller si è fatta interprete dell’intensa campagna in tal senso condotta dalla Comunità dei Caraibi (Caricom) e ha sollevato la spinosa questione nel primo incontro bilaterale in 14 anni che si è svolto a Kingston tra i due paesi. Da parte sua Cameron aveva anticipato che non avrebbe discusso l’argomento durante la visita. Tuttavia ieri, nel suo discorso davanti al parlamento giamaicano, mentre fuori un centinaio di manifestanti stazionava con cartelli su cui era scritto «Risarcimento ora!», ci ha tenuto ad «escludere» la via della riparazione economica, invitando i paesi caraibici a «superare» questo tipo di approccio. Cameron si è detto consapevole di quanto restino «profonde tali ferite», di come lo schiavismo sia stato «ripugnante in tutte le sue forme» e di quanto sbagliato sarebbe «dimenticare un periodo da cui la Storia ha tratto le lezioni più amare». Ma ha invitato anche a considerare il ruolo avuto poi dalla Gran bretagna nel «cancellare la schiavitù dalla faccia del mondo».

Nei giorni scorsi il nuovo leader del Labour, Jeremy Corbin, che da giovane ha trascorso due anni sull’isola come volontario, aveva definito lo schiavismo «la parte più brutale della nostra Storia e di quella giamaicana», ribadendo che se mai diventerà primo ministro non esiterà a chiedere scusa e ad affrontare il tema del risarcimento.

L’«approccio» di Cameron resta quello di «costruire insieme il futuro». Alludendo agli investimenti programmati nella regione: per la Giamaica è pronto un pacchetto da 300 milioni di sterline da destinare a nuove infrastrutture. Ma il progetto a cui Londra sembra tenere di più – del valore di 25 milioni – è la costruzione di un nuovo penitenziario. «Non sarebbe stato meglio delle scuole?», si è chiesto il leader dell’opposizione Andrew Holness. Alla domanda rispondono indirettamente i 600 detenuti giamacani presenti attualmente nelle carceri britanniche, mai rimpatriati viste le penose condizioni del sistema carcerario sull’isola. Con una nuova prigione, finalmente «umana», quelli a cui resta da scontare un periodo superiore ai 18 mesi potranno essere trasferiti.

Durante la visita altre proteste sono state inscenate da due gruppi – la Jamaica Coalition for a Healthy Society e il Love March Movement – preoccupati dall’eventualità che Cameron possa influenzare il governo giamaicano sulle questione delle nozze gay, sdoganate in patria. Teatro dei sit-in, ironicamente, l’Emancipation Park.