Nemmeno il Covid-19 li ferma: i cacciabombardieri F35 continuano ad essere assemblati e prodotti nello stabilimento italiano di Cameri, dove alcune centinaia di lavoratori rischiano di ammalarsi per assicurare questa produzione decisamente non così indispensabile e necessaria.

Invece, assemblare dei cacciabombardieri d’attacco e che possono sganciare ordigni nucleari è per il governo così importante e strategico quanto produrre ventilatori per la terapia intensiva e mascherine. Tutta l’industriale italiana si ferma, ma non quella bellica.

Infatti qualche giorno fa il governo ha dato carta bianca alle industrie militari. I ministri della Difesa Lorenzo Guerini e dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli hanno scritto all’Aiad (la federazione delle Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza, una sorta di confindustria dell’industria militare) riconoscendo il carattere strategico, “l’apicale importanza” delle produzioni da salvaguardare e impegnandosi a “tutelare appieno” l’operatività di queste imprese, tra cui quelle militari.

Per arrivare alla fine -in modo pilatesco- alla sostanza: valuti l’AIAD se concentrare “l’operatività sulle linee produttive ritenute maggiormente essenziali e strategiche, e di contro, rallentare per quanto possibile l’attività produttiva e commerciale con riferimento a tutto ciò che non sia ritenuto, del pari, analogamente essenziale”.

Bontà loro. Non è il governo a decidere quali industrie (militari) siano strategiche o no. Ci pensa l’Aiad, il cui presidente Guido Crosetto è stato deputato di Forza Italia e Fratelli d’Italia e sottosegretario alla Difesa: in un paese in cui il conflitto d’interessi e l’incompatibilità tra precedenti cariche pubbliche e successivi incarichi nel settore privato sono mal regolati, le revolving doors tra politica business privato sono un’abitudine.

Alle industrie delle armi si dà la massima libertà di decidere quello che gli fa più comodo. Tra l’altro nella lettera dei due i ministri si auspica che comunque ogni decisione delle imprese coinvolte venga presa con le rappresentanze sindacali territoriali. Si auspica, proprio così.

I lavoratori ci stanno ad ammalarsi per curare i malati negli ospedali, per garantire le pulizie delle strade, per guidare i mezzi pubblici, ma vale la pena rischiare di ammalarsi per montare la fusoliera di un cacciabombardiere o la torretta di un cingolato?

Tra l’altro molte di quelle aziende non producono per la Difesa, per le nostre Forze Armate, ma per l’export: vendono cioè armi a paesi che spesso non rispettano i diritti umani o che sono coinvolti in conflitti. E questo sarebbe talmente strategico e indispensabile da far ammalare i lavoratori di corona virus?

Il gruppo Leonardo Spa che ha la responsabilità della produzioni dello stabilimento di Cameri – e che vende armi a paesi come l’Arabia Saudita coinvolta nella guerra in Yemen e il Tagikistan che mette in galera i giornalisti – si è giustificata in questo modo: dobbiamo continuare perché ne vanno di mezzo la commesse e i posti di lavoro.

Si tratta -hanno ricordato Sbilanciamoci, Rete Disarmo e Rete della Pace- di giustificazioni risibili, intanto perché le commesse sarebbero solo sospese ed in un mondo fermo per il Covid-19 sarebbe veramente improbabile ipotizzare la cancellazione di un contratto per un ritardo di qualche settimana. E poi c’è questo inaccettabile «ricatto occupazionale»: se non continuiamo a produrre gli F35 gli operai perdono il lavoro.

È lo stesso identico rischio che stanno vivendo migliaia di imprese e milioni di lavoratori e professionisti che sono a casa seguendo correttamente le indicazioni di distanziamento sociale del governo ma che rischiano di finire in cassa integrazione e poi – magari – di perdere davvero il posto di lavoro.

Le campagne Sbilanciamoci, Rete Disarmo e Rete della Pace hanno protestato e chiedono di bloccare subito queste produzioni. Ci si può ammalare per produrre mascherine e ventilatori per la terapia intensiva, ma per un F35 e un mitragliatore, proprio no. Ma gli armieri di fronte al business non si fermano.

Cosa c’è di strategico, di necessario, di urgente in tutto questo? Proprio niente; ecco perché lo stabilimento di Cameri va chiuso subito.