La minimizzazione della portata del voto umbro è per la sinistra esiziale. Le polemiche di queste ore (Matteo Renzi che accusa il Partito Democratico per l’alleanza elettorale coi 5S, Nicola Zingaretti che accusa Renzi per la disfatta) fanno parte di quel navigare a vista che sta sbattendo l’intera storia della sinistra italiana contro gli scogli.

La Waterloo umbra dev’essere riconosciuta nella sua radicalità. I flussi ci diranno quanti elettori, nel giro di dieci-quindici anni, hanno lasciato il Pd e la sinistra, prima per l’astensione e poi per questa destra. Operai e imprenditori, impiegati e dirigenti, artigiani, casalinghe: popolo, insomma. Già elettori comunisti, o figli di comunisti e socialisti, incontrano nelle sezioni della Lega dirigenti che a parole li difendono. Si consegnano a un capo, che usa toni forti, che chiede pieni poteri. Sono imbevuti dell’idea che chiudendo le frontiere staranno meglio.

La storia della sinistra, però, non torna indietro. Non è come la pellicola di un vecchio film che si può riavvolgere. Io, che quella storia amo -perché ad essa devo molto della mia vita, e ad essa l’Italia deve molto del suo presente- non penso che si possa senza essere patetici riproporre vecchi schemi, linguaggi, simboli. Le domande sono altre.

Cosa c’entra con la generazione del Friday for Future Salvini? Chi può rappresentare questo bisogno di riprendere in mano il proprio destino? Cosa c’entra con la ribellione di Me Too, in opposizione alla violenza aperta e nascosta che ogni giorno si consuma contro le donne, una destra machista, paternalista e nemica dei diritti civili? Cosa c’entra con la domanda di diritti, garanzie e lavoro che nel magma del precariato e dello sfruttamento propongono lavoratori e lavoratrici -indigeni o immigrati- chi difende la deregolamentazione più selvaggia del mercato del lavoro?

Occorre prendere atto di un paradosso, che esprimerei così: “Il Pd è morto, viva il Pd”.

Il Pd è ormai giunto alla fine della sua stagione. Non perché abbia un’anima cristiana. I cristiani e i cattolici di oggi, specie nell’era di Francesco, sono assai più critici dell’ordine di cose esistente di tanti ex comunisti o socialisti. Il tema è diventata la natura istituzionale, governista, moderata del Pd, incapace di rappresentare le faglie e le fratture sociali e civili.

Tuttavia -torno sul paradosso- oggi c’è solo il Pd, in termini di insediamento elettorale e di potenziale democratico. Nessun altro progetto politico ha credibilità nel campo del centrosinistra.

Tutta l’attenzione in queste ore è sulla coalizione di governo. Il problema-a me sembra – non è questo. Bisogna provare a rendere utile questa esperienza governativa. Ma bisogna pensare soprattutto a una svolta radicale che parta dal principale partito di centrosinistra.

Ci vorrebbe un Congresso vero. Partecipativo e inclusivo. Non per distribuire poltrone o future candidature. Un Congresso a tesi. Che non si limiti a cambiare nome a questo contenitore, ma che ne cambi il contenuto. Mi piacerebbe che si formasse, in quest’occasione una vasta coalizione, interna ed esterna all’attuale Pd, capace di proporre una strada originale e mai battuta fin qui.

La rottura con l’ultimo ventennio dev’essere netta. Occorre una forza nuova di critica all’esistente, capace di fare delle sfide ecologiste, femministe e socialiste un programma pratico e esigente.

Occorre indicare un nemico, per sapere chi sei: la speculazione finanziaria, il capitalismo che, dopo la fine di Bretton Woods, ha dichiarato la propria onnipotenza, la propria blasfema divinità; e l’individualismo come modello di organizzazione sociale. Occorre indicare chi sei, da che parte stai. Quella dei giovani, delle donne, del lavoro. Stai dalla parte dell’altro, dell’altruismo come progetto di vita e di società, dell’amore come idea politica -contro le nuove ideologie dell’odio della paura-.

Ma la rottura dev’essere netta con un’idea di pratica politica quotidiana, di partito. Un partito che fa quel che dice, coerente tra i propri ideali e i propri comportamenti (sì: la questione morale), che combatte carrierismo, correntismo e leaderismo. Un partito che vive nei territori, che si propone di educare ai valori dell’altruismo e della convivenza quelle grandi parti della società che nella solitudine e nelle ingiustizie si sono ripiegate su sé stesse coltivando rancore, rinunciando a immaginare un futuro di convivenza.

Bisogna fare l’operazione opposta di quella che fece Matteo Renzi con la sua scalata al Pd. Portare nuovi fermenti sociali nella politica.