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Cambiamento, non larghe intese

Il voto spagnolo C’è tanta voglia di cambiamento nel voto spagnolo di ieri, al punto di preferire l’instabilità politica ad una governabilità capace solo di dare una continuità alle politiche liberiste di questi […]

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 22 dicembre 2015

C’è tanta voglia di cambiamento nel voto spagnolo di ieri, al punto di preferire l’instabilità politica ad una governabilità capace solo di dare una continuità alle politiche liberiste di questi quattro anni di governo Rajoy, che hanno impoverito la Spagna, lasciato senza lavoro milioni di giovani, soprattutto donne, distrutto la sanità e l’istruzione pubblica e fatto perdere diritti e libertà alle persone.

Quelle politiche fortunatamente non hanno più una maggioranza nel parlamento, perché il partito popolare perde milioni di voti e ben 63 parlamentari, rispetto al 2011.

Non c’è maggioranza di destra neanche se ai 123 seggi conquistati dal partito di Mariano Rajoy, si sommano i 40 ottenuti da Ciudadanos, la versione presentabile delle destre, che resta largamente al di sotto di quanto pronosticavano i sondaggi. Il vero vincitore di queste elezioni è Podemos che, sebbene una legge elettorale penalizzante, conquista oltre il 20% dell’elettorato, vicinissimo al Psoe, che perde rispetto al 2011 una ventina di parlamentari, pur rimanendo il secondo partito di Spagna.

Sarebbe positivo anche il risultato di Izquierda Unida (Iu), quasi un milione di voti, se non fosse per la legge elettorale che gli assegna solo due seggi. L’iniquità del sistema elettorale spagnolo è ben spiegata dal seguente dato: il Pp conquista un parlamentare ogni 58600 voti, mentre a Iu: ne servono ben 460000.

Certo alla sconfitta delle destre non corrisponde una visibile alternativa di sinistra, ma è indubitabile che il voto rende chiaro quanto abbia scavato nella società spagnola il movimento degli indignados, che quattro anni fa occupò le strade e le piazze di tutta la Spagna, per protestare contro la gestione della crisi fatta da Zapatero. L’elettorato ha detto con chiarezza che Podemos, nato proprio per dare rappresentanza politica a quel movimento, è oggi il protagonista della vita politica spagnola. È attorno ad esso che nelle prossime settimane può materializzarsi una alternativa a Rajoy. Il partito di Pablo Iglesias è il più votato nelle grandi e medie città spagnole e probabilmente il suo successo sarebbe stato ancora più grande se oltre alle liste unitarie in alcune circoscrizioni, in particolare in Catalogna, avesse esteso in tutte le circoscrizioni queste esperienze, aprendosi alle proposte di ahora en comun.

Se questo è il senso del voto espresso ieri da spagnole e spagnoli è certo che da quanti non vogliono che nulla cambi, in particolare per quanto riguarda le politiche economiche e sociali è già partito un tentativo forte di isolare Podemos. Lo sta facendo in primo luogo chi comanda in Europa, cioè i liberisti, che chiedono a gran voce stabilità e continuità.

Il tentativo corposo sarà quello di spingere i socialisti verso le larghe intese, magari offrendo la testa di Mariano Rajoy. Per ora il Psoe ha risposto picche, ma la pressione sarà fortissima perché questa è l’unica possibilità di impedire che la Spagna segua l’esempio greco. Giustamente Podemos ha sottolineato che non è questo il momento per discutere né di maggioranze di governo e tantomeno chi dovrà esserne il capo.

La proposta di Iglesias, fatta nella conferenza stampa di commento al voto ieri e rivolta a tutti i partiti è di avviare subito la riforma della costituzione, cioè portare il confronto sul progetto di Spagna che le varie forze politiche hanno in testa. Podemos vuole togliere l’obbligo del pareggio di bilancio che inserì il governo Zapatero e soprattutto chiede di dare valore costituzionale al diritto al lavoro, alla salute, alla istruzione per tutti, oltre a proporre il diritto a decidere per questioni come quelle catalane. Spetta ora ai socialisti dare una risposta a queste proposte, confermando la loro indisponibilità alle larghe intese.

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