Il videomessaggio ultima versione sarebbe pronto per essere trasmesso a metà settimana; dell’ipotetica apparizione a Porta a Porta si è persa traccia negli ultimi giorni. Mentre Silvio Berlusconi è immerso nei suoi rovelli, Enrico Letta gioca in contropiede e compare lui sugli schermi di Raiuno, intervistato ieri sera da Bruno Vespa. E questa volta si fa minaccioso. Potrebbe essere lui, avverte, a decidere di dimettersi.

Da Porta a Porta, Letta si fa portavoce anche dell’insofferenza di Giorgio Napolitano: «Non possiamo essere io e il presidente della repubblica gli unici parafulmini. Occorre da parte di tutti una partecipazione alla responsabilità», ammonisce rivolto non solo al Pdl. Perché «noto che da qualche settimana si è alzato il livello dello scontro politico tra i partiti», e «se la tendenza di questo mese continua fino a fine anno, con il caos politico che ha messo a rischio la ripresa, tutto questo vale 1 miliardo in più di costi» e «a pagare saranno famiglie e imprese». Però, chiarisce, «il futuro non dipende solo da ciò che farà Berlusconi ma da molti altri fattori» e se «il nostro Paese era in bilico a febbraio, marzo e aprile, le condizioni che lo hanno portato a questa situazione di difficoltà non sono venute meno anzi, c’è stato l’aggravarsi dell’instabilità politica». Calmi tutti, dunque: «In questi mesi non ho mai pensato di lasciare perché ho sempre percepito la solidarietà e la fiducia del Parlamento e la forte spinta del Capo dello Stato, ma è evidente che la situazione è così complessa che se verificassi che la mia permanenza peggiorasse la situazione consentendo a qualcuno di avere un alibi, non ci metterei un attimo a trarne le conseguenze». Nessuna intenzione, insomma, di diventare il Monti della situazione – spiegano i suoi – le larghe intese devono intestarsele tutti i soci.

Come fa capire lui stesso, non è solo per le continue minacce pidielline legate alla decadenza di Berlusconi che il premier decide di alzare la voce. Lo scalpitare di Matteo Renzi ha irritato parecchio l’inquilino di palazzo Chigi, che – innervosito anche dall’ultima sortita del sindaco sul Pdl facilmente asfaltabile nel caso si votasse ora – non ha ancora digerito (ma lui nega) l’essersi sentito descrivere come uno incollato alla «seggiola». Se anche il governo superasse lo scoglio decadenza – è dunque il messaggio – Letta non si presterà a fare il bersaglio né del Cavaliere che potrebbe volerlo lasciare a palazzo Chigi a fare il parafulmine, appunto, scatenando la sua Forza Italia 2.0 anche contro i governisti del Pdl, né dell’aspirante nuovo premier del centrosinistra in corsa per la segreteria del Pd, Renzi. «Non ragiono – dice dal canto suo Letta – sul mio futuro personale, su duelli di partito o sul congresso, non mi occupo di cavallerie rusticane». Ma «non ne posso più di quelli che raccontano la falsità che in questi quattro mesi ci siamo girati i pollici».

In ogni caso, prosegue Letta basandosi anche sui sondaggi che descrivono un quadro in cui il centrodestra è lontano dall’essere asfaltato, «andare al voto con questa legge elettorale vuol dire riconfermare la situazione di impasse».
Il premier poi anticipa che la prossima legge di stabilità «avrà come cuore l’intervento per ridurre le tasse sul lavoro e aumentare i soldi in busta paga». Resta lo scoglio Iva e qui la cautela è massima: «Discuteremo questa cosa, è una vicenda molto complicata. Quel che posso dire è che faremo una riforma sulle aliquote». Ma per dimostrare che il governo non si gira i pollici, Letta ribadisce che sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti – cavallo di battaglia dei grillini ma anche del sindaco di Firenze – «se il tempo passa senza che nulla avvenga, il governo farà un decreto».