Call center Italia, capita che si lavori per 9 euro al giorno. Totalmente in nero e senza contratto. Il caso è stato denunciato dalla Slc Cgil di Taranto, che ha presentato un esposto all’ispettorato del Lavoro e alla Procura: stipate in uno stanzone di un appartamento nel capoluogo pugliese, una quindicina di ragazze telefonavano per conto di una camiceria, offrendo capi di abbigliamento e prodotti tessili a cittadini benestanti e professionisti.

Usiamo l’imperfetto, ma in realtà non sappiamo se l’appartamento con i telefoni sia ancora in attività o meno: infatti fino a ieri non risultavano ancora ispezioni effettuate, ma è certo che sei o sette di quelle ragazze, stanche dello sfruttamento, adesso non vanno più al “lavoro”, perché si sono rivolte al sindacato. Che ha agito.

Se è vero che queste storie non sono rare, almeno dall’inizio della crisi, è però importante metterle in evidenza: perché ci vorrebbero 10, 100, 1000 sindacalisti che tutte le mattine si mettono in fila davanti alle procure per denunciare lo sfruttamento, augurandosi che altrettanti imprenditori finiscano dritti dritti sotto processo.

Così è accaduto qualche settimana fa con i sindacalisti della Cgil di Catania, che con un esposto alla Procura e un docufilm, Terranera, hanno contribuito all’arresto di 9 caporali, che tenevano in stato di semi schiavitù i braccianti immigrati, e così ha scelto di fare Andrea Lumino, giovane segretario della Slc di Taranto, che ha avviato una vera e propria campagna di denunce.

«Le ragazze, tutte tra i 18 e i 25 anni, ovviamente si rendono conto che non ha senso lavorare per 4 o anche più ore per soli 9 euro al giorno, ma c’è il ricatto della fame – spiega Lumino – Taranto è una realtà molto difficile. Poi vedi che non ti ci paghi neppure la benzina per andare al lavoro, che non puoi farci la spesa, e allora dici basta. Sono venute loro da noi, erano un gruppetto, hanno visto che abbiamo deciso di denunciare tutti i casi di sfruttamento e per fortuna hanno avuto il coraggio di rivolgersi al sindacato».

Un rapido calcolo: 9 euro al giorno per 6 giorni fanno 54 euro a settimana, che moltiplicati per 4 settimane fanno poco più di 200 euro. Se aggiungi che non esiste contratto (quindi nessuna tutela) né rispetto delle condizioni di sicurezza, il quadro è completo.

Il settore dei call center è in subbuglio: certo, in questo caso parliamo di una storia al limite del criminale, ma che pone comunque il tema della regolazione del comparto al governo. Anche perché tante imprese che negli anni scorsi hanno stabilizzato, oggi si trovano nelle condizioni (giustificate o meno) di mettere fuori centinaia se non migliaia di addetti, divenuti “costosi” solo perché si vedono applicato il contratto nazionale.

Almaviva si è trovata davanti al nodo degli esuberi, e a fatica l’ha risolto attraverso un confronto con i sindacati. Infocontact ha risposto allo stesso problema con un’intesa piuttosto controversa, contestata da una parte degli addetti. E oggi il nodo si è posto alla Call&Call, presieduta dal numero uno di Assocontact, l’associazione confindustriale di settore.

Tutti gruppi di spicco: le delocalizzazioni, gli appalti e le commesse al massimo ribasso, lo scarso controllo del governo sul rispetto delle normative Ue sulla privacy e la sicurezza dei dati hanno toccato il cuore di un comparto chiave, che dà lavoro a 80 mila persone, la gran parte donne. Ora si sono aggiunti anche gli incentivi alle assunzioni, che spingono le aziende a “rottamare” il vecchio personale oggi, magari per prenderne altro più conveniente domani.

E a Taranto il lavoro, in particolare quello delle donne, è merce rara: «Il gruppo più grosso qui è la Teleperformance – spiega Lumino, della Slc Cgil – dà lavoro a 4 mila persone, molte sono le mogli degli operai Ilva. In giugno scade, dopo due anni, l’accordo sui demansionamenti che aveva scongiurato gli esuberi: e l’azienda ha già annunciato che potrebbe tornare a dichiararne di nuovi».