Posseduto da demoni feroci Caligola alberga, con forsennata inquietudine, il piedistallo della sua caduta. Freme. Brucia. Combatte. Si dimena. Striscia, si inarca, salta, cade e si rialza, si libra in aria. Balza e rimbalza con voluttuosa, siderale energia. Angelo ribelle, catapultato sul palcoscenico della contemporaneità, visivamente figlio di quel «rinascimento elettronico» istruito da Bill Viola (alieno però dai suoi languori), il Caligola di Ian Gualdani cavalca l’immaginario di un mondo futuribile, invaso dalla tecnologia, percorso da un delirio multimediale quanto fisicamente onnivoro. Prodotto dal Teatro del Carretto, scritto e diretto da Jonathan Bertolai, alla sua prima regia per la compagnia lucchese di cui è storico componente, solo nel nome imparentato con Albert Camus, questo novello Caligola distilla, in solitaria ebbrezza, tutta l’insensata cupezza dei tempi di cui siamo vittime e carnefici.

Voce aliena il Caligola di Gualdani, a vita nuova restituito dopo essersi liberato da una matassa appiccicosa di plastica che come placenta lo avvolgeva, intona una partitura che è prima di tutto una coreografia mentale. Caligola è ora una particella smarrita nella globale dispersione di senso che tutti ci attanaglia. Gualdani consegna al suo Caligola, oltre la fragilità del personaggio, oltre l’assurdo, il disagio esistenziale, la solitudine e la implacabile perdita di equilibrio di cui intuisce l’eco, una dimensione fantascientifica, proiettando su di esso, grazie anche ai contributi di Orlando Bolognesi per le luci, di Diego Granzetti e Giovanni Adorni per i monitor e le immagini video e di Hubert Westkemper per la raffinata intelaiatura sonora, le ombre di un futuro sempre più gravato di disumanizzazione e minacce.