Mentre i riflettori di tutto il pianeta illuminavano l’Olympiastadion di Berlino per la finale di Champions League tra la Juventus e i blaugrana di Barcellona, ieri sera è stato battuto il calcio d’inizio dei Mondiali di calcio femminile. Nel Commonwealth Stadium di Edmonton, capitale della provincia canadese dell’Alberta, 60mila persone hanno assistito al match inaugurale tra Canada e Cina, due delle 24 nazioni che si sfideranno fino alla finale di Vancouver del prossimo 5 luglio. 52 gare, 8 selezioni nazionali in più rispetto alle scorse sei edizioni del torneo (la prima nel 1991): un evento che sta trainando la dimensione sportiva femminile verso i giusti riconoscimenti che merita.

Ciò nonostante, se aveste aperto la pagina web della FIFA negli scorsi giorni avreste avuto difficoltà a leggerne notizia. Un piccolo riquadro in basso a destra, mentre l’immagine di Steve Archibald e Gaetano Scirea fagocitava gran parte dello schermo, rimandando ad un articolo sui precedenti tra Juve e Barcellona a partire proprio da quell’immagine datata 1986. E poco più sotto, prima del breve trafiletto sul kick-off di Edmonton, un ampio spazio dedicato ai Mondiali sì di calcio, ma di categoria maschile Under 20. Viene insomma da pensare che questo grande evento avrà una formale rilevanza a singhiozzo a partire dagli ottavi fino alla finalissima di Vancouver, dove si catalizzerà la morbosa e curiosa attenzione di un pubblico calcio-dipendente che con la finale di Champions League di ieri sera ha esaurito le dosi convenzionali di calcio estivo.

Finale 2011

Eppure, il fenomeno calcistico femminile è tutt’altro che impantanato nelle retoriche sessiste che permeano il pallone. Stati Uniti, Giappone, Germania – solo per citare alcune nazioni (e anche le uniche che ad oggi hanno vinto il Mondiale, insieme alla Norvegia) – sono all’avanguardia nella promozione di un settore sportivo in progressiva espansione, sia in termini di atlete che di pubblico. La finale della scorsa edizione tra Stati Uniti e Giappone (vinta dalle nipponiche 5-3 d.c.r.) ha registrato dati da capogiro in terra a stelle e strisce: secondo Jamie Lowe del New York Times, la finalissima registrò ascolti maggiori del “Kentucky Derby”, la famosissima corsa di cavalli di Louisville che l’anno scorso tenne oltre 15 milioni di americani incollati alla tv. Dati incredibili, che si sposano con gli oltre 400 milioni di telespettatori che seguirono le calciatrici nell’avventura mondiale di Germania 2011.

Dati che però mal si coniugano con l’opera delle istituzioni sportive internazionali, ancora fortemente caratterizzate da un’implicita discriminazione dello sport femminile e dall’assenza di donne nei ruoli chiave delle amministrazioni e dei settori tecnici. Ad esempio proprio nel discusso mondo FIFA sono donne solo il 7% degli allenatori e il 10% degli arbitri, ma soprattutto solo il 23% delle 177 associazioni nazionali ha predisposto uno staff ad hoc per il calcio femminile.

L’ascesa del calcio femminile ha tuttavia solleticato l’interesse dei grandi sponsor e dei grandi investitori del settore sportivo, al punto che dal 2007 è stato inserito un cospicuo premio in denaro (5,8 milioni di dollari) per la vincitrice della coppa (in quell’anno, toccò alla Germania), aumentato poi in occasione di ogni edizione fino agli attuali 13,6 milioni messi in palio per la nazionale che si laureerà campione in Canada (appena il 3% dei 406 milioni pattuiti come compenso per la federazione che ha vinto i mondiali brasiliani del 2014). Inoltre, nonostante sia un settore ancora in fase di sviluppo, i grandi colossi del merchandising tecnico (Nike e Adidas) stanno studiando soluzioni di rilievo per coprire un mercato stimato intorno a 15 miliardi di dollari (fonte Calcio&Finanza). Ma la consacrazione più grande del cambio di marcia nel calcio femminile e della sua conseguente appetibilità arriva dalla EA Sports, il brand più noto nella produzione di videogame sportivi, che nell’edizione di FIFA 2016 ha inserito per la prima volta 12 rappresentative nazionali femminili: un fatto epocale, un massive event come lo ha definito pochi giorni fa David Rutter, general manager di EA Sports, ai microfoni della BBC.

E l’Italia? Dopo lo scandalo-Belloli e le parole della capitana azzurra Patrizia Panico sulla disparità di trattamento riservata alle donne («In Italia non si muove nulla e invece che investire sul calcio femminile si preferisce raschiare il fondo del barile del calcio maschile, spremendolo finché si può»), è tempo di vedere le colleghe sui campi canadesi. Una qualificazione che alle azzurre manca dal 1999, sfumata a novembre 2014 a Verona quando l’Olanda si impose 1-2 staccando il biglietto per Toronto e aggiudicandosi per la prima volta l’ingresso al mondiale al pari di Thailandia, Spagna, Costa d’Avorio, Svizzera, Camerun e Costa Rica. Intanto, proprio la selezione centroamericana è già nella storia grazie a Gloriana Villalobos: numero 10 sulle esili spalle e appena 15 anni, pronta però ad essere la giocatrice più giovane ad aver mai partecipato ad un mondiale.