Calcio italiano, ecco un nuovo big bang. E poco c’entrano stavolta aule di tribunali, sim galeotte, calciatori che truccano le partite. Si litiga per i diritti audiotelevisivi del campionato. Per il nuovo accordo per la cessione del triennio 2015-2018. Guelfi e ghibellini del pallone sono da tempo ad affilare le armi. Perché il tema dei diritti tv è solo il primo atto di una resa dei conti tra i potenti del pallone che si rinvia da mesi. Forse, anni.

L’assemblea di Lega prevista per oggi segue la lettera inviata al presidente di Lega, Maurizio Beretta da sette club della serie A (Juventus, Roma, Inter, Fiorentina, Verona, Sampdoria, Sassuolo, con l’appoggio esterno del Napoli) che mettono in discussione il ruolo di Infront – società che gestisce la vendita dei diritti tv del calcio italiano sino al 2016 – in vista della cessione dei diritti televisivi del triennio 2015-2018.

In gioco ci sono i 2/3 del fatturato della serie A. Per i sette club ci sarebbero sul mercato alcuni advisor più competitivi per il nuovo accordo collettivo. Come Img, società che si è già fatta – poco casualmente – avanti con una «manifestazione d’interesse» con il presidente Beretta, dopo la lettera dei sette club. In sostanza, le «nuove sette sorelle» vorrebbero un gioco al rialzo nella ripartizione della torta televisiva, un «piano di sviluppo alternativo» che partirebbe mettendo fuori gioco Infront.

Tra i motivi del ribaltone, il prodotto serie A che non sarebbe adeguatamente sviluppato, con ricavi troppo bassi. Ben sotto il miliardo di euro complessivo garantito dal duo Mediaset-Sky, se non dovesse scendere in campo il terzo incomodo (Al Jazeera?). Ma sotto osservazione anche il sistema MP Silva che gestisce i diritti esteri della A: appena 127 milioni di euro nelle casse dei club di massima serie (500 per quelli di Premier League).

Fin qui, i numeri. Poi, ecco le trame, i giochi di palazzo, secondo consolidata tradizione italiana. Tra le pieghe della missiva c’è una forte critica dei club ai dirigenti che negli anni hanno gestito la Lega. Colpevoli di mancanza di progettualità. Senza una visione di ampio respiro del motore del calcio italiano. Critiche che vanno In particolare al presidente Beretta, eletto lo scorso gennaio dall’asse Adriano Galliani – Claudio Lotito. Le altre big, Juve, Inter, Roma, Napoli, Fiorentina, che avevano appoggiato la candidatura di Andrea Abodi, capo della Lega di serie B, rimanevano fuori dal nuovo consiglio di Lega. Dove fioccavano poltrone per Galliani (vicepresidente), Lotito (consigliere federale), Massimo Cellino ed Enrico Preziosi (consiglieri). Insomma, alla prima occasione, l’opposizione, in testa Andrea Agnelli e Diego Della Valle, si mette in moto.

Puntando diritto su Infront – pagata 35 milioni dalla Lega -, sulla sua familiarità con Fininvest. Minacciando implicitamente di avere la forza di bloccare qualsiasi delibera di Lega, compresa quella sull’advisor. Che, in presenza di un duopolio (Mediaset-Sky) non è di fondamentale importanza. La ricca Premier League conta su una sola consulenza pro tempore, la Wasserman. E vende molto meglio il suo prodotto, soprattutto in Asia, risparmiando milioni di euro. Senza trascurare che i nodi italiani sono strutturali. Che il calcio dipende quasi esclusivamente dagli introiti televisivi, bassi e distribuiti male (40% suddiviso tra i 20 club, 30% bacino d’utenza, 30% risultati). Con le tv che dettano l’agenda alle società. Negli altri Paesi europei, la formula per generare ricavi prevede stadi di proprietà dei club (in Italia si è messa in pari solo la Juve), sponsor, marketing, merchandising. Qualcosa si muove (il Napoli vede crescere il suo fatturato di anno in anno). Troppo poco per un cambio di marcia.