In “Fuga per la vittoria” del 1981 John Huston gira una sequenza di assoluta apertura alla tolleranza razziale, se rapportata al periodo temporale nel quale è ambientata la pellicola. Anni ’40, guerra mondiale. Nel secondo tempo del film e della partita di calcio (“indirizzata” da un arbitro ariano) fra una squadra multinazionale di prigionieri alleati e una squadra di scultorei soldati tedeschi, due sono i protagonisti che rivaleggiano per rubarsi la scena: Pelè, in campo tra le file dei prigionieri; Max Von Sydow, in tribuna nelle vesti di un maggiore dell’esercito del reich. Nell’azione di gioco in cui Pelè schizza da terra ed esegue un’acrobatica rovesciata che vale il gol del pareggio, Von Sydow non resiste alla bellezza di tale gesto atletico e alzatosi di scatto dalla panca si concede a uno scrosciante applauso. Sarebbe stato verosimile, nella realtà storica, che un ufficiale nazista applaudisse sportivamente un prigioniero dal colorito scuro? Comunque sia, la trovata di quel “genialaccio” di Huston fa compiere un balzo, simbolico, nel lento cammino verso una società che si vorrebbe fondata sull’uguaglianza e sul rispetto reciproco, oltre il cromatismo della pelle.

Se Pelè, al cinema, era stato trattato con riconoscenza per le magie calcistiche che aveva espresso sui campi di gioco, allo stesso fuoriclasse, vent’anni prima, fu preclusa la possibilità, qualora il Brasile l’avesse lasciato partire, di trasferirsi nel campionato di Serie A dove, fino al mondiale in Cile del 1962, vigeva l’ostracismo verso i calciatori dalla pelle scura. In seguito, in tournée in Italia, giocò nella partita (memorabile per noi, che vi assistevamo) della sua squadra, il Santos, contro quella della nostra città per l’inaugurazione del nuovo stadio. Finì 5 a 1 con Pelè mattatore della giornata, nell’estate 1967. Lo stesso anno che vide l’afroamericano Sidney Poitier impersonare l’invitato nel film-commedia “Indovina chi viene a cena?”. Cena che si sarebbe consumata in una casa di bianchi della buona borghesia californiana, da cui proveniva la ragazza che lo voleva sposare. Stanley Kramer, cineasta dagli ideali democratici, fu uno dei primi a trattare la tematica dei pregiudizi sociali relativi ai matrimoni misti.

Già miste, tornando al calcio (quando si giocava soltanto in Sud America e in Europa), erano le squadre carioca entro le quali militavano i bianchi e i neri che compongono il popolo brasiliano. Il calcio intanto si è diffuso in ogni angolo del pianeta e sia le rappresentative nazionali sia quelle di club sono uno spontaneo crogiolo di culture e di etnie. Di questa mescolanza sembra ne sia estranea la classe arbitrale, che per quasi la sua interezza (perché mai?) è costituita da bianchi.

FEDERICO CARTELLI