Lasciato solo dal suo partito a cuocersi a fuoco lento, Nicola Irto abbandona e attacca a testa bassa. Di buon mattino, rilascia un intervista al sito dell’Espresso e ne ha per tutti. «Appare di continuo una volontà di mettere in discussione le decisioni prese da molto tempo dal Pd calabrese e dagli alleati di centrosinistra: ma continuando a perdere tempo si lascia terreno alla destra e a Luigi de Magistris. Rinuncio all’incarico e chiedo a Enrico Letta di trovare una soluzione per non continuare a svilire la dignità degli elettori e dei militanti in Calabria».

A POCO PIÙ DI 100 GIORNI dalle regionali i dem restano così senza candidato. Un democrack costellato di trame e manovre sotto traccia. Irto era il candidato alla presidenza della gestione Zingaretti. Non era un nome che scaldava gli animi. I 5 Stelle non lo hanno mai digerito. Fonti autorevoli raccontano che la condizione posta dai grillini per partecipare alla primarie fosse quella di ripartire da zero e resettare tutti i nomi. A partire dal suo. «Allargare la coalizione è giusto e intelligente, ma non possiamo condannarci a muoverci con il bilancino. Non si è fatta chiarezza con il M5S. Io ho dato la mia disponibilità alle primarie proposte da Dalila Nesci. Ma ad oggi siamo fermi pure su quello» ha rimarcato il consigliere reggino.

MA LA GOCCIA CHE HA FATTO traboccare il vaso è stato il presunto corteggiamento del polo civico di de Magistris ad opera di pezzi del Pd. «È stata una ingenuità politica continuare a inseguire un personaggio che ha scelto di candidarsi per fuggire da Napoli e che pensa di trovare qui un rifugio politico o una terra di conquista». Gli strali dell’ex candidato si muovono verso il vicesegretario dem Peppe Provenzano. A stretto giro arriva la risposta dell’interessato: «Vengo chiamato in causa sulle elezioni calabresi. Preciso che non ho mai parlato di Calabria con de Magistris, tanto meno lo avrei inseguito. Io lavoro per un campo democratico e progressista più largo e competitivo». Una velleità, in un partito schiacciato in un correntismo infinito, che da anni galleggia in una palude attraversata da cacicchi locali e «feudatari» (Irto dixit).

DE MAGISTRIS, CHE IERI attendeva una telefonata da Giuseppe Conte per parlare di Napoli e Calabria, rovescia il discorso e prova a sedurre gli elettori dem. «Se il candidato alla presidenza dice che il Pd calabrese è in mano ai feudi, qualche problemino evidentemente esiste. Mi sento di fare un appello, pertanto, alle donne e agli uomini di quel partito che non sono compromessi con il sistema di venire con noi per costruire il buon governo».
Anche il segretario dem prende posizione e annuncia che giovedì Francesco Boccia, attuale responsabile enti locali, «sarà in Calabria per dirimere la questione». Malgrado le buone intenzioni di Letta pare un’impresa titanica. Perché dentro il centrosinistra da tempo si assiste a un tutti contro tutti. La regione è data ormai per persa. E, cosa di non poco conto, il sistema elettorale prevede che solo i primi due candidati alla presidenza ottengano il seggio da consigliere. Quindi se, come è probabile, il candidato del centrosinistra arrivasse terzo non otterrebbe neanche lo scranno: oltre alla figuraccia anche la beffa.

LA CALABRIA NON È PIÙ terra promessa per il Pd. E mentre Forza Italia aspetta ancora di ufficializzare il nome di Roberto Occhiuto come candidato di coalizione, una volta placato il mare in tempesta dentro il partito azzurro, arriva la notizia che Iv correrà da sola con un suo dirigente. È il senatore Ernesto Magorno. Ma sembra una mossa per alzare il prezzo del futuro approdo dei renziani di Calabria: l’alleanza di centrodestra.