«Pur’a Calabria mo s’è arrevotata». Per 24 ore sembra aver preso vita il celebre verso del Brigante se more. Chissà cosa sarebbe accaduto ancora se il lockdown non avesse diradato i cortei improvvisi e spontanei, che da giovedì scorso hanno fatto tremare i palazzi di una regione per tanti decenni silente. Dalle principali città, la protesta si è spinta nell’entroterra e sulle coste, assumendo forme diverse, attraendo strati sociali variegati.

IN QUESTO CLIMA SOCIALE, il generale-commissario ad acta alla Sanità, Saverio Cotticelli, inviato due anni fa in Calabria per sanare l’antico buco nel bilancio dall’allora ministra della Salute, la pentastellata Giulia Grillo, nel primo governo Conte (nomina confermata da Conte due il 19 luglio 2019), si è dovuto dimettere, mentre il premier ne annunciava l’esautoramento.

Gli è stata fatale un’improvvida intervista a Rai 3. Imbarazzato e impacciato, durante la trasmissione Titolo V, Cotticelli prima ha affermato che il (mai attuato) piano anti-Covid regionale non gli competeva. Salvo ammettere pochi istanti dopo che in effetti era di sua responsabilità già dal giugno scorso. Senza peraltro fornire al cronista minime informazioni sui posti letto disponibili nei reparti di terapia intensiva della regione.

MA LA PARABOLA di Saverio Cotticelli non può spiegarsi solo con un esilarante incidente mediatico. Le sue dimissioni vanno lette con la lente d’ingrandimento del malessere che ormai sfocia in mobilitazione quotidiana e di massa. «Giovedì a Cosenza – spiega Simone Guglielmelli, attivista sociale – è esplosa la rabbia di migliaia di persone, indisponibili a accettare silenti lo stato di cose attuale che costringe la Calabria a fanalino di coda d’Europa. Non contro il lockdown e l’istituzione della zona rossa ma contro la classe politica che ha distrutto il sistema sanitario regionale. Le rivendicazioni erano chiare: sanità pubblica, sostegni economici per chi è colpito dalla crisi. Una piazza che ha trasmesso, a chi l’ha attraversata, vitalità ed entusiasmo».

È RABBIA SOCIALE ma non un’insorgenza qualunquista. È un movimento che prima ha agito come un fiume carsico sotto traccia e che ora esplode nelle strade. Da Reggio a Castrovillari, da Crotone a Catanzaro passando per Gioia Tauro. Fino a Cosenza, il centro di potere della sanità pubblica e privata. Il luogo natìo di Jole Santelli, la presidente da poco scomparsa. Qui la classe politica locale ha consegnato le chiavi della sanità ai proprietari delle cliniche private come i Morrone, i Greco, i Parente, i cui cognomi sono stati indicati nei cartelli di protesta e urlati dai megafoni. Cosenza è anche stato il fulcro nevralgico del centrosinistra di Mario Oliverio che in 5 anni, dal 2014 al 2019, non ha fatto nulla per risollevare una situazione allo stremo. E che negli ultimi 8 mesi sulla sanità non ha speso una parola. Intenso invece nelle ultime ore il lavorio sui media della giunta regionale di destra. Prova a difendersi dalle accuse di aver alterato i dati sui pazienti in terapia intensiva forniti al governo, e di non aver attuato gli interventi che alla regione competevano, prima del riesplodere della pandemia.

E QUANTO AI TRASFERIMENTI dei fondi governativi alla regione, che a sua volta avrebbe dovuto trasferirli al commissario, ora tutti si chiedono: è stato fatto? Secondo quanto riferito da Antonio Belcastro, delegato per l’emergenza della regione Calabria, una tranche dei 90 milioni assegnatale sarebbe stata già versata alle aziende sanitarie provinciali, l’altra sarebbe questione di giorni. Ma è la stessa persona che fino a poche settimane fa invadeva il piccolo schermo cianciando che la macchina organizzativa era pronta. Che in 48 ore poteva attivare decine di posti in terapia intensiva.

IL DUELLO A DISTANZA con Roma continua. Ieri Il Tar del Lazio ha respinto la richiesta cautelare del ricorso del presidente reggente Nino Spirlì contro la decisione di istituire la zona rossa in Calabria. La camera di consiglio si riunirà il 18 novembre per la trattazione collegiale dell’istanza cautelare. Intanto dalle reti sociali riparte il tam tam della rivolta che minaccia di riaffacciarsi in piazza. Nonostante il lockdown.