Una campagna elettorale confusa e bugiarda si è logicamente conclusa in una giornata di caos. Le lunghe file ai seggi avrebbero potuto essere il buon segnale di un’affluenza alta. Non è stato così. Le code sono state la prima conseguenza di una pessima legge elettorale. Gli altri disastri cominceremo ad apprezzarli da oggi, quando si farà un po’ di luce sull’assegnazione dei seggi in parlamento. Nelle prime ore della notte abbiamo avuto a disposizione solo una messe di exit poll, in passato – con leggi elettorali più semplici – protagonisti di epocali svarioni.

Anche le prime proiezioni non sono del tutto affidabili, sempre a causa della nuova legge elettorale (che offre al partito di Renzi la possibilità di recuperare voti dai piccoli alleati). In ogni caso segnalano l’exploit del Movimento 5 Stelle, il crollo del Pd, il sorpasso di Salvini a Berlusconi e la delusione di Liberi e Uguali. Ma la gara delle percentuali ha poco senso quando il sistema prevede l’assegnazione dei posti in parlamento per un terzo con criterio maggioritario, dove basta un voto in più per vincere, e per due terzi con un proporzionale inquinato dalle soglie di sbarramento e dal diabolico smistamento dei voti dalle liste piccole a quelle più grandi all’interno delle coalizioni.
Oltre i leader spariti dai radar, oltre i tentativi di travestire le sconfitte da vittorie, persino oltre le scene di trionfo, adesso tutte le finzioni della campagna elettorale crollano. I candidati premier immaginari, in qualche caso anche già provvisti di una squadra di governo, sono messi di fronte alla realtà del sistema parlamentare (che qualcuno ha anche difeso nel referendum costituzionale). La corsa tra partiti e coalizioni ad arrivare primi si dimostra un esercizio assai limitato. Le sfida elettorale non serve a consegnare la palma a chi agguanta la percentuale più alta, ma a conquistare la più ampia rappresentanza alla camera e al senato. Per poi, immediatamente dopo, porsi il problema di mettere assieme la maggioranza in parlamento. I voti, cioè, vanno trasformati in seggi. Ed è questo il grande rebus del Rosatellum che richiede ore se non giorni per essere risolto.

Il dato della partecipazione al voto può essere anche guardato con un po’ di ottimismo. Il temuto crollo dell’affluenza non c’è stato. Ma malgrado molti abbiamo deciso di andare ai seggi nelle ultime ore, probabilmente scoraggiati dalle file al mattino, il dato finale si ferma significativamente sotto quello già basso del febbraio 2013. Siamo attorno al 73,5%, oltre un punto e mezzo in meno in cinque anni. Non è il tracollo del 2013, quando si erano persi in un colpo solo cinque punti percentuali, ma è comunque un’ulteriore flessione. Soprattutto considerando che l’impianto proporzionale della legge avrebbe dovuto offrire una scelta gradita a tutti o quasi tutti gli elettori.
Eppure non meno di dodici milioni di cittadini elettori, in prima approssimazione, hanno scelto di non recarsi alle urne. Un blocco certamente non omogeneo ma che nell’insieme ha una forza più o meno pari alla somma tra il Pd e la formazione che è neonata alla sua sinistra, Liberi e Uguali.
L’aspetto notevole dell’astensione è che in questa tornata gli elettori avevano a disposizione più di un’opzione tra i partiti che si sono presentati come anti sistema. Partiti come il Movimento 5 Stelle e la Lega che sono sicuramente quelli che più festeggiano in queste, con i grillini che quasi doppiano Renzi e la Lega che lo tallona da vicino. E ciò nonostante l’astensione è cresciuta, prova inconfutabile che è il campo della sinistra quello che si è definitivamente slabbrato. Un campo dal quale il Pd si allontana nella sua deriva fallimentare e che però non registra affermazioni alternative. Nelle prossime ore si potrà valutare meglio il risultato di Liberi e Uguali, che però immediatamente appare assai al di sotto delle aspettative. Per una nuova formazione pagare già il conto all’astensionismo è forse il segnale peggiore.

Le lunghe file non hanno certo favorito la partecipazione. I rallentamenti, è evidente, non sono stati provocati da un’affluenza alta ma dalle lentezze nelle procedure; il tagliando anti frode è da bocciare alla prima prova. Come tutta la nuova legge elettorale. Al di là del risultato complicato e difficile da gestire che ci consegnerà il Rosatellum, bisogna riflettere su quanto una legge farraginosa – in maggioranza proporzionale, ma con tre soglie di sbarramento diverse e una verniciatura maggioritaria – abbia scoraggiato gli elettori.
Chi non ha capito il sistema neanche dopo aver votato ha poco da rimproverarsi, considerando che anche il presidente del Consiglio ha dato un’indicazione di voto – barrare solo il suo nome nell’uninominale – diversa da quella del suo partito, che è anche quella stampata sul retro della scheda: barrare solo il simbolo della lista. Ma pochissimi o quasi nessuno hanno trovato il tempo di andare oltre il dritto della scheda, già abbastanza complicato, per leggere il verso. Per fortuna, perché altrimenti i tempi di voto si sarebbero ulteriormente allungati.