Sono le persone che ci fanno capire il territorio che stiamo raccontando, En présence de l’absence non è solo il nostro sguardo poetico sulla Normandia», afferma Jean-Marc Caimi (1966) mentre sfoglia insieme a Valentina Piccinni (1982) il libro pubblicato da Editions Bessard che hanno realizzato durante la residenza Photo4food, per la XII edizione di Planches Contact, il festival della fotografia di Deauville curato da Laura Serani. Dal 21 al 30 gennaio 2022 la mostra è ospitata da Interzonegalleria a Roma.

Il duo artistico Caimi & Piccinni, attivo dal 2013, ha trascorso il mese di marzo 2021, in pieno lockdown, nella località balneare della Normandia, osservando e restituendo, attraverso le loro fotografie in bianco e nero fortemente contrastate, il rapporto intimo uomo/natura in relazione alla storia e al territorio.
Caimi & Piccinni sono vincitori del WISPA – Italian Sustainability Photo Award con This Land is my land: in the search of the super olive tree che affronta il dramma della xylella, malattia che in Puglia sta decimando gli ulivi secolari. Tra i loro libri Güle Güle è stato finalista al premio per il libro d’autore ad Arles 2020 e al premio Nadar.

«En présence de l’absence» è un’immersione totale nella realtà del territorio della Normandia…
Jean-Marc Caimi: Lavoriamo spesso in modo molto bulimico. È un modo per calarci in un’atmosfera senza dover riflettere troppo sulle cose, perché ci sia una sorta di linea emotiva crescente soprattutto per lavori che, come questo, sono molto poetici, sfumati dal punto di vista del contenuto documentaristico. En présence de l’absence è il racconto di un territorio, degli incontri con le persone, con i luoghi. Per farlo dovevamo essere molto all’interno di questa sorta di «momentum», un momento magico. Per farlo è molto importante quella ritualità che si ripete, sia quando si fanno le fotografie che quando si sviluppano.
Valentina Piccinni: Spesso quando abbiamo la possibilità di realizzare lavori in pellicola, come in questo caso, trasformiamo la casa, o la stanza in cui viviamo, in una piccola camera oscura.
Questa parte del lavoro artigianale del fotografo ci rappresenta tantissimo e ci caratterizza per il desiderio di vedere immediatamente come si sta muovendo il lavoro, anche se la visione del negativo non è esattamente l’immagine che andremo a stampare. Questa ritualità ci permette, dopo una giornata intensa, di tornare a casa e avere un nuovo momento con un’energia parallela a quella dello scattare. Con la fotografia analogica è sempre una magia.

Come si combina il vostro approccio documentaristico con quello più poetico?
Jean-Marc Caimi: Ci sono due démarche che la fotografia può avere. Per essere poetica, raccontare e trasmettere un’emozione una foto non deve essere per forza sfumata o confusa, incarnazioni dell’espressione poetica della fotografia, anzi può essere di grande precisione. In questo lavoro abbiamo fatto uso del flash che rivela e non nasconde, sia di giorno che di notte, lasciando l’ambiguità al modo in cui l’immagine è editata e posizionata all’interno del libro.
Un’alchimia che si crea tra le foto che precedono e seguono e che non necessariamente sono state fatte nello stesso momento. Un momento di ricerca di un’immagine poetica che, a volte, è rivelatrice di qualcosa di non perfettamente spiegabile e che può portare in direzioni differenti.
Valentina Piccinni: Anche nei lavori più poetici, comunque, la preparazione ha una forte base documentaristica. Prima di partire per la Normandia abbiamo studiato, cercando di capire quali sono gli elementi che la caratterizzano, nel bene e nel male, dalle bellezze alla storia degli sbarchi durante la seconda guerra mondiale. Prendendo in considerazione anche ciò che c’è più inquietante come l’inquinamento e le centrali nucleari. Questi elementi sono diventati i «punti cardine» da cui ci siamo mossi. Nel viaggio, poi, c’è sempre posto per gli incontri casuali.

In particolare, come si è sviluppato il progetto del libro in cui la narrazione è per frammenti?
Jean-Marc Caimi: Il processo di editing è senz’altro una sorta di nuovo viaggio all’interno del lavoro in cui ricostruiamo la storia, in parte vera e in parte immaginata, diventando noi stessi spettatori.
Valentina Piccinni: Siamo partiti facendo una grande selezione, trattandosi di immagini analogiche il processo che abbiamo seguito è stato scansirle velocemente, invertirle dal negativo al positivo e, una volta scelte, iniziare la parte creativa più entusiasmante che è appunto quella di mettere insieme le immagini per creare possibili storie. Il fatto di poter sfogliare il libro, quindi soffermarsi, ritornare indietro, andare avanti è un processo di visione delle immagini stesse che per noi è fondamentale.
Jean-Marc Caimi: Anche nei nostri lavori più documentaristici tendiamo ad avere questo approccio, in maniera che le immagini possano suscitare sempre degli interrogativi, attirare chi guarda. È molto pericoloso quando chi chiude un libro credendo di aver capito tutto e non lo riaprirà più.

Lavorate insieme dal 2013, ognuno dei due ha dei ruoli precisi?
Valentina Piccinni: Dal punto di vista dell’azione entrambi fotografiamo. È difficile che ci separiamo, insieme visitiamo le persone e andiamo in giro. Se siamo in spazi aperti è chiaro che ci perdiamo e ci rincontriamo, ma lavoriamo parallelamente sulle foto. In studio, però, dividiamo più o meno i ruoli, io magari mi occupo più dell’editing e Jean-Marc dei testi, delle didascalie, della parte più giornalistica oltre che della musica, essendo musicista, che realizza per preparare le nostre presentazioni multimedia.
Jean-Marc Caimi: Spesso forniamo ai giornali delle storie già pronte con dei suggerimenti d’impaginato accompagnati da didascalie e testi. La fotografia include moltissimi mondi oltre a quello del fotogiornalismo a cui apparteniamo. Ci interessa soprattutto la sperimentazione di questo linguaggio, le aperture e le opportunità che può dare nel raccontare storie avvicinandoci molto alle persone che cerchiamo sempre di mettere in primo piano.