Un ritrovamento casuale e inaspettato: centinaia di nastri magnetici in bobina, perfettamente conservati e di inestimabile valore storico, all’interno di una polverosa valigia di cuoio per decenni dimenticata in una stanza colma di cianfrusaglie. È così che comincia – o meglio, ricomincia – la storia della Caife, etichetta discografica di musica tradizionale ecuadoriana degli anni Sessanta, recentemente riportata alla luce dal nipote del fondatore originario, il dj e producer di Quito Daniel Lofredo Rota, in arte Quixosis. Lo scorso gennaio, infatti, una buona parte di quelle incisioni sono state finalmente pubblicate in due raccolte – The Paths of Pain e A Heart in Splinders, disponibili in lp e sulle piattaforme di streaming – da Honest Jon’s, label londinese specializzata in riscoperte etnomusicali: la colonna sonora ideale per un viaggio tra le Ande e l’Equatore.

«A Heart In Splinters-More from the Caife label, Quito, 1960-68)»

La musica popolare dell’Ecuador è un fedele riflesso degli intrecci storici, sociali e culturali che hanno riguardato il paese nel corso dei secoli. Tutti gli stili più diffusi sono risultato della fusione tra canti ancestrali di origine indigena e strutture musicali di origine europea, importate nel paese durante l’invasione coloniale spagnola. Albazo, tonada e sanjuanito, ad esempio, sono generi di origine antica, caratterizzati da temi malinconici e modernizzati da strumenti come flauti, chitarre, tamburi e bandolines, i mandolini delle Ande. La musica nazionale per eccellenza, però, è il pasillo; nato in un momento di costruzione identitaria all’epoca delle guerre d’indipendenza dalla Spagna (ottenuta nel 1822), è un genere che unisce le tematiche e le sonorità tipiche della musica indigena alle strutture compositive del valzer viennese e del bolero spagnolo. Originario di tutte le province che formavano la Nuova Granada – oggi territori di Colombia, Ecuador e Venezuela – nella sua variante ecuadoriana il pasillo si è ibridato con i generi locali: i testi sono cupi e nostalgici, con un linguaggio simbolico e d’ispirazione poetica; le canzoni, lente e suonate con mandolini e le tipiche chitarre «requinto», parlano di emozioni drammatiche, nostalgiche e angosciose. Insieme al passacalle, tipicamente suonato da bande di strada, il pasillo ha goduto della massima fortuna tra gli anni Trenta e Cinquanta, la cosiddetta «epoca dorata» della musica tradizionale: in ambito musicale, il talento degli interpreti e l’innovazione tecnologica erano all’apice, e la popolazione stava vivendo uno dei più importanti boom economici e sociali della sua storia.

ENTUSIASMO
È su questa onda di entusiasmo che, nel 1958, Carlos Rota decise di fondare la Caife, acronimo di Companía Anónima de Industrias Fonográficas Ecuatorianas. Suo padre, Luigi Rota, era un ingegnere radiotecnico italiano, stabilitosi in Ecuador dopo essersi rifiutato di mettere a disposizione del regime fascista le sue competenze. A Quito aveva fondato una delle prime stazioni radio professionali ed era diventato un rappresentante per l’America Latina della Rca Victor, l’importante major statunitense. Sfruttando le reti di conoscenza del padre, Carlos, poco più che ventenne, decise di mettersi in proprio. Tra il 1958 e il 1970, la Caife incise e pubblicò centinaia di 45 giri dei migliori pasillo, albazo e pasacalle, facendo anche da distributore per etichette più importanti. Il roster dell’etichetta era composto da una bilanciata combinazione di artisti affermati e giovani scoperte, supportati nelle registrazioni da una band fissa di versatili musicisti, il Conjunto Caife. Purtroppo, però, già a inizio anni Settanta l’epoca d’oro della música nacional conobbe il suo tramonto. Le stesse radio che per un decennio sparsero la voce della Caife iniziarono a importare musica internazionale: cumbia colombiana, tango, salsa. La moda era cambiata, e la musica ecuadoriana si adeguò ai nuovi standard. Dopo soli dodici anni, la Caife cessò definitivamente l’attività.
Carlos Rota è morto in Ecuador nel 2015. Della sua vita dopo la parentesi discografica si sa poco, anche perché i rapporti con la famiglia si interruppero bruscamente; a quanto pare, si dedicò alla politica, prima come funzionario e poi come giornalista. Daniel aveva a malapena conosciuto suo nonno, senza farsene un’idea precisa. Dopo i funerali, entrando nel suo ufficio – un modesto monolocale nel centro di Quito – si trovò in un’inaspettata situazione: la stanza era pressoché inabitabile, colma di oggetti, riviste, libri esoterici e manoscritti indecifrabili. Sotto tonnellate di quotidiani, si imbatté in una vecchia valigia coperta di adesivi di hotel, con all’interno circa cinquecento nastri d’incisione, anonimi e non, ma tutti con una sigla ben visibile: Caife. Protette dalla carta di giornale e, considerata l’altitudine di Quito, inattaccabili dall’umidità, tutti i nastri erano in perfetto stato. Carlos non aveva conservato nessun disco, ma aveva archiviato tutti i master originali delle sue pubblicazioni. Da quel giorno, Daniel si è dedicato a ricostruire la storia della label: studiando le canzoni e incontrando gli artisti ancora in vita, ha ripercorso il cammino del nonno, in un viaggio che gli ha permesso di scoprire la musica, la cultura e l’identità del proprio paese. Grazie a questo lavoro di ricerca e identificazione durato circa tre anni, i nastri sono oggi disponibili per essere ascoltati in tutto il mondo, restaurati e digitalizzati nei prestigiosi Abbey Road Studios di Londra.

EPOCA AFFASCINANTE
Il gruppo di artisti riscoperti della Caife è variegato ed eterogeneo, e la loro musica appartiene a generi, periodi e correnti diverse. Tutti, però, sono accomunati da storie straordinarie e romantiche, di un’epoca diversa e affascinante. Nei dischi pubblicati, ad esempio, si possono ascoltare le composizioni classiche e di ispirazione tzigana di Raul Emiliani, virtuoso violinista bolognese di etnia romaní, trasferitosi a Quito dopo aver combattuto la Seconda guerra mondiale e aver sofferto di disturbi da stress post-traumatico. Tre tracce, invece, sono della celebre cantante argentina Olga Gutierrez, che approdò in Ecuador nel 1962 per esibirsi davanti ai reali inglesi in visita: da allora, non lasciò più il paese, diventandone cittadina onoraria e una delle più importanti interpreti di pasillo. Per l’etichetta incisero alcuni degli artisti locali più in voga a livello popolare: è il caso del duo formato da Gonzalo Benítez e Luis Valencia – autori della melodia dell’inno non ufficiale ecuadoriano, Vasija de Barro – e delle sorelle Laura e Mercedes Mendoza Suasti, la cui carriera è durata più di sessant’anni, avendo iniziato a cantare per Radio Quito ancora bambine. Uno dei personaggi più curiosi, invece, è Dilson de Souza detto Biluka, artista di strada afrobrasiliano che riuscì a imporsi suonando uno strumento particolare: la foglia di fico, con cui riusciva a emettere un suono simile a quello del violino.
Il catalogo Caife, però, ha ancora tanto da dare: le canzoni rimaste inedite sono circa trecento. La vecchia valigia di cuoio si è rivelata una preziosa capsula del tempo, in cui si sono conservate voci, storie e melodie di un passato che sembrava dimenticato. Come ha scritto Daniel Rota sul suo diario di lavoro (su soundsandcolours.com/memoria-analoga): «Non ho conosciuto bene mio nonno e, da quello che so di lui, probabilmente non avrei voluto farlo. Tuttavia, lo devo ringraziare per questo suo regalo accidentale: mi ha fatto conoscere i suoni di una generazione lontana, ma allo stesso tempo così vicina alla mia».