Il fermo a Panama di Robert Seldon Lady è durato meno di 48 ore. Il tempo servito evidentemente a Washington per far capire al governo panamense cosa doveva fare e di preparare un aereo, e l’ex capocentro della Cia a Milano, condannato dal tribunale di Milano a nove anni di reclusione per il sequestro dell’ex imam Abu Omar era già in volo diretto a casa. A quanto pare – ma non ci sono conferme – senza neanche una telefonata di avvertimento al governo italiano che solo giovedì, appena saputo che lo spione americano era stato bloccato vicino alla frontiera con il Costa Rica, attraverso il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri aveva firmato il provvedimento di fermo di Seldon Lady in attesa di procedere con le pratiche per un’eventuale estradizione (anche se non esiste un trattato tra Italia e Panama). «So che Seldon Lady è in viaggio o è già atterrato negli Stati uniti, oltre a questo non ho ulteriori dettagli», ha confermato alla Cnn la viceportavoce del Dipartimento di stato americano, Marie Harf.
La conferma della «rendition» casalinga organizzata in poche da Washington arriva in Italia poco dopo le 19, proprio mentre al ministero di Giustizia è in corso una riunione convocata da Cancellieri dopo che a metà pomeriggio la Washington Post aveva anticipato la liberazione dell’ex agente americano. Dopo il pasticcio kazako, con l’espulsione della moglie e della figlia del dissidente Mukhtar Ablyazov comandata dagli uffici del Viminale dall’ambasciatore di Astana, il «caso Lady» rischia adesso per il governo Letta di trasformarsi nell’ennesimo inciampo internazionale, con le prevedibili conseguenze per la credibilità italiana. «La vicenda è in mano ai ministero della Giustizia e degli Esteri», fa sapere palazzo Chigi, dove si evitano però ulteriori commenti.
Chi non tace, però, è la Farnesina. In serata fonti del ministero fanno infatti sapere di «rispettare la decisione delle autorità panamensi», ricordando anche come il ministero non sia stato coinvolto nelle procedure per un’eventuale estradizione di Seldon Lady. Parole che – seppure nella loro ufficiosità – non vengono prese bene in via Arenula, anche perché sembrano una presa di distanze dall’operato della titolare del Viminale. Che evita di fare qualunque commento.
Ora bisognerà vedere se e come il governo intenderà reagire. Con il prevvedimento firmato giovedì dal ministro Cancellieri, l’Italia aveva infatti manifestato chiaramente le sue intenzioni nei confronti dell’ex capocentro della Cia, intenzioni che il goveno panamense avrebbe dovuto rispettare. E questo aldilà della possibilità di estradare o meno in futuro Seldon Lady. «Non credo che questo governo avrà il coraggio di fare una protesta formale», commentava ieri sera uno degli investigatori che per anni hanno lavorato sul sequestro dell’ex imam di Milano.Al mattino, dimostrandosi perfino troppo ottimista, Ferdinando Pomarici, procuratore aggiunto a Milano ai tempi dell’inchiesta su Abu Omar, aveva espresso tutte le sue perplessità. «Le autorità statunitensi si opporrano in tutti i modi all’estradizione di Robert Seldon Lady e faranno pressione perché questo non avvenga. Ne sono sicuro», aveva spiegato. La realtà ha suprato le sue previsioni.
Ma la fuga in patria di Seldon Lady potrebbe togliere le castagne dal fuoco al governo. L’arresto dello spione rischiava infatti di far crescere di nuovo la tensione con gli Stati uniti, che da sempre vogliono mettere una pietra sopra l’extraordinary rendition di Abu Omar. Washington non ha infatti mai gradito la tenacia con cui la procura di Milano ha insistito per processare e ottenere la condanna dei 23 agenti della Cia – tutti latitanti – coinvolti nel sequestro, primo fra tutti proprio Seldon Lady. Né, a settembre del 2012, ha gradito la decisione dell’allora minstro della Giustizia Paola Severino di emettere un mandato di cattura internazionale nei cofronti dell’ex capocentro. Ad aprile a venire incontro alle esigenze americane ci aveva pensato direttamente Giorgio Napolitano concedendo la grazia a un altro dei protagonisti di quel sequestro, il colonnello Joseph Romano, all’epoca comandante della base di Aviano dove Abu Omar venne trasportato prima di esser spedito in Egitto, dove venne imprigionato e torturato. Un gesto, quelo di Napolitano, che fu molto apprezzato da Barack Obama.
Con tutti gli altri 007 ben al sicuro negli Stati uniti, restava aperta solo la questione riguardante Seldon Lady. Una pratica chiusa in poche ore da Washington. Senza che da palazzo Chigi, almeno fino a ieri sera, si sia levata una sola parola di protesta