Un’interessante mostra, realizzata a Belluno tra settembre e ottobre del 2002, intitolata Buzzati 1969: il laboratorio di «Poema a fumetti», curata da Mariateresa Ferrari, metteva a confronto una serie di illustrazioni ricavate dal famoso libro in cui l’autore del Deserto dei Tartari rievocava in chiave pop il mito di Orfeo ed Euridice e le relative immagini a cui quello si ispirava. L’effetto era, al contempo, seducente e sconcertante, considerato che l’autore bellunese spesso si rifaceva a materiali eterogenei e anticonvenzionali: fumetti, foto tratte da manuali di criminologia, riviste pornografiche, se non tableaux vivants in cui la moglie Almerina e l’attore Antonio Recalcati si prestavano a fungere da modelli. Alcune delle opere lì presenti sono confluite nella mostra Buzzati, Venezia e la Pop Art, curata da Marco Perale e visitabile fino al 25 febbraio presso il Centro Culturale Candiani di Mestre. Il catalogo (pp. 176, € 25,00), edito dalle Grafiche Antiga, accoglie contributi dello stesso curatore, nonché degli specialisti Alessandro Del Puppo, Walter Guadagnini, Alessandro Scarsella e Nicola Callegaro.

Si tratta di un’esposizione che, partendo dalla Biennale veneziana del 1964, visitata dall’autore per conto del Corriere d’Informazione, in cui si potevano ammirare lavori di Robert Rauschenberg, Jim Dine, Jasper Johns e altri esponenti della Pop Art, si contamina con elementi tipici dell’immaginario buzzatiano, creando una sorta di coacervo dai tratti perfettamente riconoscibili. Indicative al riguardo le poco più tarde corrispondenze americane uscite sul Corriere della Sera, dove Buzzati si misura con i rappresentati della Pop Art non sempre in maniera benevola: si veda l’ironia con la quale affronta i finti arredamenti di Claes Oldenburg. L’empatia provata nei confronti di artisti molto dissimili tra loro, spesso inclini ad approfondire il concetto di serialità (Warhol, Lichtenstein) in un contesto grafico analogo a quello dei comics, è piuttosto relativa, considerata l’aderenza dimostrata nei confronti di «irregolari» come Yves Klein e Francis Bacon, sui quali scrisse due importanti cammei giornalistici per il Corriere della Sera. Osserva Del Puppo: «Quando si sospinse in spazi e autori più sperimentali (come da Iolas per Jannis Kounellis, marzo 1968, o alla de Nieubourg nel maggio di quello stesso anno per Alighiero Boetti) dimostrò la sua incapacità nel comprendere».

L’opera di Buzzati tende, fin quasi dagli esordi, a coniugare parola e immagine, come documentato dalla Famosa invasione degli orsi in Sicilia, pubblicata da Rizzoli nel 1945, dopo l’anticipazione a puntate sul «Corriere dei Piccoli». Non si possono non ricordare altri capisaldi come il succitato Poema a fumetti, antesignano del graphic novel, e I miracoli di Val Morel, edito da Garzanti nel 1971, di cui viene proposto l’ultimo ex voto, riproducente uno dei miracoli effettuati da Santa Rita. È fin troppo nota la dichiarazione dello stesso autore che, nel catalogo della mostra Dino Buzzati pittore, edito da Alfieri nel 1967, sosteneva di essere «un pittore il quale, per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista». È una boutade che tuttavia conserva una certa verosimiglianza, rincarata dall’asserzione che «Scrivere e dipingere per me sono la stessa cosa». E le opere esposte non fanno che confermare tale chiave di lettura, privilegiando il singolare connubio teso a conciliare alto e basso, spesso collimante con la lezione della Pop Art. Ma in Buzzati questo processo era profondamente connaturato alla propria indole, alla propria poetica, che l’impatto con le opere degli artisti americani suffragava semmai in direzione di un taglio ancora più spregiudicato e antiaccademico.

Più evidente è l’interesse manifestato per alcuni surrealisti (da Delvaux a Magritte al Bellmer della disarticolata Poupée) o per outsiders come l’idolatrato Rackham e il sulfureo Alberto Martini. Si pensi anche a un altro narratore che si dilettava con il pennello come Klossowski, coinvolto in dinamiche circostanziate attraverso l’episodica (e rapsodica) riappropriazione del personaggio di Roberta. Rimandano a quel soggetto, più che alle opere del fratello Balthus, il Ritratto della signora A.A., retrodatato a un chimerico 1906, Donna sdraiata del 1967, La neghittosa del 1968. Esemplare è la tavola realizzata in china Eura malata, variante inedita del Poema a fumetti, in cui si vede incombere sopra un nudo femminile addormentato, effigiato con la fisionomia dell’onnipresente Almerina, una mostruosa escrescenza volatile che allunga i propri tentacoli filiformi verso la preda inerme, ricordando certi viluppi teratologici di Dalì o Tanguy, memori della simbologia onirica freudiana.

L’erotismo non è mai disgiunto da effetti stranianti, riconducibili a una visione ossessiva che non rinuncia alla propria dimensione fantastica: La bocca, disegno a matita del 1967, rimanda sì a certe «inquadrature fumettistiche di Lichtenstein» o ai «particolari anatomici di Wesselmann», come indicato in nota, ma anche agli ingrandimenti iper-realistici di Gnoli. Paradigmatica la tavola realizzata con acrilici su cartoncino Ragazza bruna vista dal basso (1968), dove campeggia un volto aggraziato parzialmente nascosto da un gigantesco seno, realizzato con sfumature fosforescenti intorno a cui si ricavano, simili a sbavature psichedeliche, le linee morbide di labbra color fucsia.

Sul retro del quadro l’autore annota che l’effetto corrisponde a quello di un gatto che osserva la propria padrona intenta a coricarsi. Gli stessi esiti fumettistici rimandano esplicitamente a personaggi come Diabolik e Kriminal (si veda, in particolare, È una strada di notte).
Variamente rappresentati sono i temi canonici: il gigantesco bull-dog che occupa il centro metafisico di una piazza; la diplopia degli sguardi femminili (ancora Eura/Almerina contrapposta all’alter ego Orfi); le montagne declinate in versione azzurra o adombrate nella variante del vulcano; la giacca appesa che rimanda all’enigmatico racconto La giacca stregata. Il contrasto tra sensualità femminile e giacca concepita alla stregua di appendice inutile, floscia, svuotata del suo naturale contenuto rimarcante l’inaridimento della figura maschile, è percepibile in Giacca con ragazza (1970).

Spesso Buzzati sviluppa la componente erotica con cinismo, come nella splendida tavola Un caso edilizio del 1965, con effetti che richiamano la tecnica giapponese dello shibari, o in Un invadente parlamentare del 1964, ripresa da un celebre ex voto, dove si vede un insetto meccanico, chiamato «onorevole Rongo Rongo», che usa violenza a una ragazza.