A volte sbilanciato verso il quasi, altre volte verso il non, e altre ancora verso il chissà, il forse che governa la vita della protagonista di Milkman, sorprendente romanzo della scrittrice irlandese Anna Burns (traduzione di Elvira Grassi, Keller editore, pp. 451, euro 19,50) si porta dietro una categoria della «forsitudine» che non pretende nulla di filosofico e men che mai condivide la sempreverde moda letteraria della precarietà esistenziale, con relativo indugio sul limite di una qualche frontiera identitaria, quando non direttamente sull’orlo di un abisso, ciò che seduce tanta critica del XXI secolo, in perenne adescamento di lettori sentimentalmente corretti.

Il forse calato da Anna Burns sulla vita di quella che chiama «sorella di mezzo» (middle sister), voce narrante in prima persona del romanzo vincitore del Booker Prize l’anno passato, ha invece la pragmaticità e la concretezza di una resa allo stato dei fatti, fra rimpianto per ciò che sarebbe potuto avvenire e reticenza di fronte a quel che può ancora succedere, ma non si sa se desiderare che accada. Si applica prima di tutto a «forse-fidanzato», la cui forse-relazione con suddetta «sorella di mezzo» sta per trasformarsi in una convivenza, eventualmente – nonché forzatamente – da dislocare nella zona-a-luci-rosse della città, dove è consentito ciò che lo standard comportamentale bandisce: per esempio che abitino insieme forse-fidanzati e persino forse-amanti dello stesso sesso.

La contingenza politica
Siamo a Belfast durante i sanguinosi troubles degli anni Settanta, la città non viene nominata e tanto meno motivazioni e schieramenti del conflitto, e tuttavia prescinderne è impossibile. L’intera comunità è alimentata, condizionata, subordinata all’odio di tutti contro tutti: da una parte i «rinnegatori dello Stato», ovvero gli indipendentisti dell’Ira, nobili paramilitari combattenti contro le squadre d’assalto dei «difensori dello Stato», ovvero gli odiosi «occupanti» che vengono dal «paese oltre l’acqua», alias Inghilterra. Poi gli «informatori» di entrambe le fazioni e infine gli «innominabili», ovvero agenti governativi sotto copertura, che spiano, scattano foto, interrogano, senza poi concludere nulla perché da qualunque parte ci si schieri, la situazione è talmente ingestibile da scoraggiare ogni possibile soluzione legale. Quanto alla polizia, nessuno la chiamerebbe mai se non per spararle, ragione per la quale anche se chiamata la polizia non si muove. L’occhio di «sorella di mezzo» osserva con sconsolato, ironico distacco questo garbuglio politico cui non partecipa, sebbene impossibilitata, come tutti, a non introiettare una presa di posizione: la sua proviene dall’essere figlia di una pia donna cattolica, vedova di un uomo già mortalmente depresso, madre di tre fanatiche «piccine» sotto i dieci anni, e di: «figlio numero uno», disertore del movimento a vantaggio di altre più comode avventure; «figlio numero due», ucciso da una bomba in quanto «rinnegatore»; «figlio numero tre», innamorato di «sorella di ragazza delle pastiglie» – la pericolosa avvelenatrice del distretto, che compulsivamente introduce nelle bevande di chi le capita a tiro, parenti inclusi, pozioni quasi-mortali; e «fratello numero quattro», che tale non è ma in quanto migliore amico di «fratello numero due», quello ucciso, è cresciuto in famiglia. A loro si sommano «sorella numero uno», inconsolabile quasi-vedova di amatissimo fidanzato ucciso anche lui da una bomba, ora mal-maritata con cretino maldicente; e «sorella numero tre», nota per il suo linguaggio indecente e maritata con maniacale sostenitore dell’esercizio fisico. È con lui che va a correre a «parchi & laghi» suddetta «sorella di mezzo», altrimenti relegata tra gli «inaccettabili» del distretto a causa della sua indecifrabilità, e della pervicace abitudine di leggere mentre cammina.

Andamento ipotattico
Difficile staccarsi dalla originalissima, nonché a suo modo geniale, voce di Anna Burns, che con smagliante intelligenza introduce il lettore alle concitate vicende della retriva comunità cattolica del distretto in cui vive «sorella di mezzo», separato dalla zona protestante grazie alla cosiddetta «area-da-dieci-minuti», che allude al tempo medio di percorrenza di quel cuscinetto spazio-temporale in cui nessuno vuole sostare. Di certo, ciò che contraddistingue la scelta narrativa della scrittrice irlandese è il riferirsi ai suoi personaggi non chiamandoli per nome, bensì schiacciandoli sul loro ruolo, sia esso di parentela che relativo al lavoro svolto o alla funzione politica esercitata, o al grado di contiguità con un altro attante: una strategia perfettamente funzionale a rappresentare la nord-irlandese cattolica comunità del distretto, pettegola, bigotta e di ristrette vedute.

Ma non è tutto qui: l’andamento ipotattico che connota il racconto dettagliato dei fatti da parte della diciottenne protagonista, la quale parla con la stessa confidenziale discesa nei dettagli propria della conversazione con una amica cui si dice tutto perché tutto sembra essenziale, irrinunciabile e inseparabile da sé, quella stessa concatenazione di frasi che riproduce la consequenzialità logica degli accadimenti e dei relativi protagonisti, si alterna alla approssimazione adolescenziale che sola permette di andare diritti al cuore delle cose, agendo come un risucchio irresistibile per il lettore, che vi rimane invorticato.

Nonostante la sua ritrosia, o forse proprio perciò, ben due pretendenti aspirano a «sorella di mezzo»: il più pericoloso è il «milkman» del titolo, ovvero «Lattaio», che tale non è perché non lo si è mai visto consegnare una bottiglia di latte, eppure gode di questa fama non si sa grazie a quale mistero (una ironica sorpresa lo svelerà alla fine del romanzo). Con comportamento lucidamente irreprensibile, Lattaio va dritto alla sua meta amorosa, sicuro di conquistarla; e – in effetti – sebbene non arrivi al cuore della protagonista, riesce a colonizzarne la mente, incoraggiato dal coro dei pettegolezzi, che danno l’unione per fatta e per nulla deprecabile, se è vero quanto si dice di lui: che militi nelle fila dei «rinnegatori dello Stato». A loro millanta di appartenere anche il secondo aspirante, presto ringalluzzito dalla morte violenta del primo, Qualcuno McQualcuno ovvero uno «stalker rancoroso» e potenziale stupratore.

Unico personaggio equilibrato, affidabile, amorevolmente altruista, il «vero lattaio», che compare al fianco di «sorella di mezzo» solo per aiutarla e consigliarla, per esempio suggerendole di prendere lezione da «donne delle questioni», le femministe che stanno avviando la loro militanza nel quartiere. Lui sì che consegna le bottiglie del latte, ma la comunità dei «rinnegatori» lo ha dichiarato ufficialmente inaccettabile, bollandolo come «l’uomo che non ama nessuno», perché un giorno, dopo la morte del fratello, tornò dal «paese oltre l’acqua», dissotterrò le armi che loro avevano seppellito nel suo giardino e le gettò, ben visibili, in mezzo alla strada.

Una menzione a parte merita «forse-fidanzato»: come gli altri personaggi, anche lui non parla di voce propria, non fosse che per poche deluse parole in fine di «forse-relazione» con «sorella di mezzo», sua «forse-fidanzata». Di professione è meccanico, il che gli consente di accumulare fino all’inverosimile pezzi di automobili smembrate, fra i quali il sovralimentatore di una Blower Bentley con relativa bandierina nemica di «paese oltre l’acqua», oggetto vilipeso ma anche conteso dai suoi amici-nemici «rinnegatori» in quanto emblema oltraggioso. Prima di rendersi forse abbandonabile da «forse-fidanzata», il non ancora meccanico era stato lasciato al suo destino, insieme ai quattro fratelli, dagli snaturati genitori, una coppia di ballerini fuggiti di casa per dedicarsi «anima e corpo» alla danza, ricordandosi solo a cose fatte di scrivere ai figli un biglietto di addio. Ciononostante, «forse-fidanzato» è venuto su così romantico da introdurre «sorella di mezzo» al suo primo tramonto: «con quel cielo di fronte a me, e con la pressione addosso perché lui si aspettava che lo osservassi, ne fossi testimone, vi partecipassi in qualche modo e avessi una reazione appropriata, ero lì accanto a lui e guardavo e annuivo anche se non sapevo cos’è che stavo guardando e a cosa stavo annunendo».

L’età prediletta
Il solo riprodurre questi non-nomi che Anna Burns assegna ai suoi personaggi porta fatalmente a mimarne la voce, intonata a quella di una adolescente, età prediletta – si direbbe – da non poche scrittrici irlandesi (tra le più recenti, Sally Rooney e McDermott, le cui protagoniste sono anche loro delle diciottenni); con il rischio (ma la lettura integrale lo riscatterà) di rendere questa voce affettata, mortificandone il timbro e azzerandone quella consequenzialità necessaria delle frasi che hanno bisogno di un contesto largo nel quale trovare accoglienza e riverbero di suoni: a proposito dei quali, la lingua della traduttrice, Elvira Grassi, e le sue scelte di resa sono così indovinate e così magnificamente accordate alla singolarità della prosa di Anna Burns da oltrepassare, a volte, il piacere dell’originale.