Domenica si sono svolte le elezioni più mediatizzate e incerte nella storia del Burkina Faso. Vincitore della corsa alle presidenziali è Roch Marc Kaboré, che con circa il 53% dei consensi è stato eletto al primo turno, mantenendo la sua promessa di realizzare un coup K.O. e staccando di più di venti punti il principale avversario, Zéphirin Diabré, che lo ha subito incontrato per congratularsi. Gli occhi di tutti erano puntati sulla regolarità delle operazioni di voto, considerata il test principale per l’accidentato percorso di transizione politica dell’ultimo anno – messo a dura prova dal breve tentativo di golpe lo scorso settembre.

L’Unione europea era presente con una missione di osservazione elettorale, coordinata dalla nostra ex-ministra Cécile Kyenge, ma la vera novità è stata il moltiplicarsi di iniziative locali per assicurare la trasparenza e la «vigilanza civica». Ad esempio il Balai Citoyen, il movimento giovanile più attivo durante le proteste del 2014 che hanno provocato le dimissioni di Blaise Compaoré, ha promosso la campagna Je vote et je reste («Io voto e poi rimango»), dispiegando osservatori volontari durante il voto e il conteggio delle schede. Diverse organizzazioni della società civile locale hanno dato vita al Codel, coordinamento di osservatori incaricati di inviare via mail o sms i risultati dei singoli seggi. I dati sull’affluenza, i risultati provvisori e le dichiarazioni dei candidati erano poi rilanciate sui social network e su vari siti di news.

Il buon funzionamento della macchina elettorale è giustamente considerato una vittoria da parte di tutti. Meno chiara è la fase politica che si apre ora. Dopo aver ricoperto diversi incarichi ministeriali nei governi degli anni ’90, durante la «rettifica» post-rivoluzionaria e gli aggiustamenti strutturali, Kaboré è diventato segretario e poi presidente del Cdp (Congresso per la Democrazia e il Progresso), il partito di Blaise Compaoré, prima di entrare in conflitto con i dirigenti più vicini all’ex-presidente. La rottura definitiva si è consumata nel gennaio del 2014, quando Kaboré si è dissociato dai progetti di modifica costituzionale che avrebbero permesso all’ex-presidente di farsi rieleggere, e ha fondato insieme ad altri dirigenti “ribelli” il Mpp (Movimento del Popolo per il Progresso). Il suo nuovo partito ha raggiunto allora il fronte dell’opposizione, mobilitato già da alcuni mesi contro il governo, e ha cominciato immediatamente a radicarsi nelle città minori.

Dai sondaggi pre-elettorali, sembrerebbe in effetti che Kaboré vinca tra l’elettorato rurale, ancora largamente maggioritario in Burkina Faso. Gli elettori nelle grandi città gli avrebbero preferito Diabré, anche lui ministro negli anni ’90, poi con una carriera nel settore privato – inclusi ruoli per il gruppo minerario Areva e la confindustria francese – e con un programma politico di impronta più liberista.

Malgrado l’appoggio di Mariam Sankara, vedova dell’ex-presidente Thomas tornata quest’anno per la prima volta a Ouagadougou dopo anni di esilio, lo storico candidato sankarista Bénéwendé Sankara ha ottenuto meno del 3% dei voti, il suo peggior risultato di sempre alle presidenziali. Sankara è stato superato di pochi punti decimali persino da Tahirou Barry, giovane candidato del Paren (Partito del Rinascimento Nazionale), dal vago orientamento populista e tradizionalista, e sostenitore di una proposta di legge per criminalizzare l’omosessualità, rimasta finora inascoltata.

Molto dipenderà dai risultati delle elezioni legislative, svoltesi anch’esse domenica scorsa, e il cui spoglio impiegherà probabilmente alcuni giorni. Privati di candidatura alle presidenziali in conseguenza del nuovo codice elettorale adottato lo scorso aprile, i partiti più vicini al regime precedente, il Cdp e soprattutto la Nafa (Nuova Alleanza del Faso), fondata dall’ex-ministro degli esteri Djibril Bassolé, tuttora sotto processo per presunta complicità nel colpo di Stato di settembre, potrebbero ottenere risultati in grado di influenzare le future coalizioni di governo. La reale rottura con le pratiche dell’era Compaoré andrà probabilmente misurata non tanto sulle biografie dei dirigenti, quanto sugli equilibri politici che si costruiranno nel tempo.

* ricercatore al Nordic Africa Institute, Uppsala – Svezia