Prova a mandare segnali rassicuranti il generale golpista Abdel Fattah Burhan impersonando il ruolo di salvatore del premier arrestato Abdalla Hamdok che prima ha «ospitato» nella sua abitazione e poi ha rilasciato. Quindi ha permesso ad Hamdok – fino a domenica scorsa era suo partner nel cosiddetto processo di «transizione democratica» cominciato nel 2019 con la rimozione di Omar al Bashir – di avere un colloquio telefonico con il segretario di Stato, Antony Blinken, che gli ha espresso la sua «profonda preoccupazione» per il golpe. Burhan ripete di essere intervenuto per impedire che il Sudan scivolasse verso la guerra civile e assicura che nascerà un governo di tecnici che rispetterà la scadenza di luglio 2023 per le elezioni politiche. Ma non è facile credergli perché, allo stesso tempo, arrivano altri segnali di segno opposto che fanno temere la nascita di una dittatura.

Diversi ministri e leader politici sono agli arresti in località sconosciute e nella notte tra martedì e mercoledì l’esercito ha arrestato tre esponenti di primo piano della società civile: Ismail alTaj, dell’Associazione dei professionisti sudanesi, gruppo in prima linea nelle proteste che fecero cadere Bashir; Sediq al Mahdi, leader del più grande partito politico del Sudan, l’Umma Party; e Khalid al Silaik, ex consigliere per i media di Hamdok. I tre lunedì avevano condannato il golpe militare ed esortato la popolazione a sollevarsi.

Gli attivisti sudanesi, aggirando il blocco quasi completo di internet, con un tam tam, casa per casa, stanno cercando di mobilitare decine di migliaia di persone per la manifestazione di massa che dovrebbe tenersi sabato. L’incertezza intorno all’iniziativa è grande perché l’esercito si è schierato con ingenti forze dopo le proteste notturne a Khartoum. I militari, ieri mattina, hanno rimosso le barricate e i blocchi stradali nella capitale e arrestato decine di manifestanti. Il bilancio non ufficiale di morti tra i dimostranti è salito a dieci, con 140 feriti.

Burhan e i comandi militari, tuttavia, non possono tirare troppo la corda. Le reazioni internazionali contrarie al colpo di stato non sono state solo politiche – spicca quella dell’Unione Africana che ha sospeso il Sudan – ma anche di natura economica e finanziaria. La Banca mondiale ha sospeso l’iter per la concessione di aiuti considerati fondamentali per l’economia sudanese da anni in crisi profonda. Decisione che si aggiunge al congelamento di 700 milioni di dollari promessi dagli Stati Uniti e ai passi che si appresta a muovere l’Ue contro i golpisti. L’unica buona notizia per Burhan è giunta da Port Sudan dove la tribù dei Beja, che si è schierata subito con i militari, ha rimosso il blocco del porto che attuava da settembre.

La partita in ogni caso è aperta. E non è detto che gli Usa non adottino presto una linea più morbida verso il golpe. Dopo aver portato Khartoum nella sua sfera d’influenza, con la promessa di ingenti aiuti finanziari e di rimuovere il paese africano dalla lista degli sponsor del terrorismo, ora Washington non vuole che l’isolamento spinga il generale Burhan tra le braccia di Pechino. La Cina è stata uno dei partner più importanti di Omar al Bashir. E quando il Sudan ha accumulato 10 miliardi di dollari di debito, Pechino nel 2018 l’ha cancellato. Alla Cina con ogni probabilità si rivolgeranno i golpisti se il Sudan sarà colpito da sanzioni economiche e la Russia certo non starà a guardare. Sostegni a Burhan arriveranno dal Cairo interessato affinché il golpe sudanese diventi una replica degli eventi che hanno portato alla dittatura militare in Egitto.