Dopo mesi di richieste da parte delle popolazioni indigene e dei gruppi ambientalisti, tra cui Greenpeace, la Corte d’Appello Federale canadese ha stabilito che il governo Trudeau non ha consultato le popolazioni indigene canadesi sul progetto espansione del Trans Mountain Pipeline. Un oleodotto destinato a portare da Edmonton a Vancouver del petrolio ricavato delle sabbie bituminose.

Secondo la Corte, a mancare è stata inoltre una valutazione sugli impatti del traffico di petroliere e delle conseguenze che avrebbe comportato.

Per queste ragioni, la Corte ha intimato al governo di correggere i propri errori e riavviare le attività di consultazione. Una decisione che evidenzia chiaramente un dato: anche in termini finanziari, gli oleodotti che trasportano il petrolio estratto dalle sabbie bituminose sono infrastrutture molto rischiose. Le banche e gli istituti di credito che intendono finanziare le fonti fossili devono dunque riconsiderare questo genere di investimenti, che spesso incorrono in sentenze sfavorevoli, ritardi, costi molto alti per coprire il loro potenziale di impatto ambientale; e che generano anche crescente opposizione da parte dell’opinione pubblica.

La decisione del governo di supportare l’espansione di questo oleodotto è, tra le altre cose, del tutto incompatibile con gli impegni assunti con l’Accordo di Parigi e con la Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni delle Nazioni Unite, accordi firmati entrambi dall’attuale esecutivo canadese.

Si tratta di una prima significativa battuta d’arresto per i piani del governo Trudeau che, solo pochi mesi fa, a maggio, aveva deciso di ricomprare dalla compagnia Kinder Morgan l’oleodotto Trans Mountain, e i progetti di espansione ad esso collegati, per la cifra di per 4 miliardi e mezzo di dollari.

* Responsabile campagna energia e clima di Greenpeace Italia