«Buona Scuola», quando si approva un Ddl autoritario, confuso e frettoloso
«Buona scuola» Sindacati, studenti e opposizioni: «Testo da rivedere». Approderà in parlamento il 23 marzo. I dubbi sulle coperture e le dure critiche al «preside-manager». Il governo: «Ora i tempi sulla scuola li dà il Parlamento». Ma i tempi sono ristretti, non più di 40 giorni. Milioni di studenti, precari e famiglie nel limbo
«Buona scuola» Sindacati, studenti e opposizioni: «Testo da rivedere». Approderà in parlamento il 23 marzo. I dubbi sulle coperture e le dure critiche al «preside-manager». Il governo: «Ora i tempi sulla scuola li dà il Parlamento». Ma i tempi sono ristretti, non più di 40 giorni. Milioni di studenti, precari e famiglie nel limbo
L’ordalia renziana sulla scuola ieri ha seminato dubbi sui tempi di approvazione del Ddl e sulle coperture della «Buona Scuola». L’esame del provvedimento licenziato giovedì dal consiglio dei ministri dovrebbe iniziare solo lunedì 23 marzo. Il conto alla rovescia imposto da Renzi alle Camere è da cardiopalma. Ad oggi i tempi non dovrebbero andare oltre fine aprile, Senato e Camera dovrebbero approvare un Disegno di legge che contiene, tra l’altro, l’assunzione di 100.701 docenti precari dalle graduatorie ad esaurimento (Gae) e la svolta manageriale dell’organizzazione degli istituti (ne parliamo accanto qui).
Prendere o lasciare: se le aule traccheggiano, Renzi farà un decreto d’urgenza, passerà per salvatore della patria e nessuno potrà accusarlo di «autoritarismo». Il problema è che, così facendo, il governo farà passare una riforma autoritaria della scuola. Per Mimmo Pantaleo (Flc-Cgil): i super-poteri ai dirigenti scolastici mettono «a rischio principi costituzionali come la libertà di insegnamento». In più non è ancora chiaro se i 200 milioni di euro per la «valorizzazione del merito» dei docenti scelti dai presidi andranno ai «mentor» o al «team» scelto dal preside per controllare la produttività dei loro colleghi. Il rischio di una deriva ispettiva nella vita degli istituti è stato denunciato da Piero Bernocchi (Cobas che scioperano il 5,6 e 12 maggio) per il quale «i docenti verranno sottomessi alle regole della scuola-azienda e della scuola-quiz». «Il preside-manager alla caccia di sponsor, questa è l’idea di autonomia scolastica di Confindustria. È una vergogna» sostiene Danilo Lampis (Unione degli Studenti).
I dubbi riguardano le coperture per gli scatti di anzianità che il governo ha mantenuto, segno di una pesante sconfitta politica rispetto alle velleità iniziali sugli «scatti di merito». Come verranno finanziati, visto che la legge di stabilità del 2014 li ha bloccati fino al 2018? E dove verranno presi, forse dai tagli al fondo di istituto come già accaduto con il governo Letta, che poi si rimangiò la decisione? La stessa trovata populista della «carta del prof» per i consumi culturali da 500 euro costerà tra i 3 e i 400 milioni di euro. Ad oggi questa cifra non c’è in bilancio. La si dovrà trovare in 40 giorni. Impresa ardua, in parlamento se ne vedranno delle belle. Sempre poi che il testo resti così come lo consegnerà il governo.
Soprattutto il governo non ha ancora chiarito se i 100 mila assunti (e non più 148 mila annunciati e poi ritirati) andranno in cattedra tutti dal prossimo primo settembre. Sono dettagli complicati, ma di sostanza. Ad oggi i posti sulle cattedre vacanti non dovrebbero essere più di 50 mila. Gli altri andranno nell’organico «funzionale», sempre che il Ddl riesca ad essere approvato. Il problema è che le scuole hanno tempo fino al 30 maggio per comunicare il numero dei docenti di cui hanno bisogno. Ma come possono farlo se manca la legge? Per l’Anief (che manifesta il 17 marzo) l’organico funzionale per eliminare le supplenze è impraticabile: rischiamo di veder sostituito un docente di latino con uno di educazione fisica. L’esclusione degli idonei del «concorsone» 2012 scatenerà migliaia di ricorsi contro il governo. Di Meglio (Gilda) pone un altro problema: le assunzioni di Renzi non rispondono alla sentenza della Corte di Giustizia Ue che impone l’assunzione di tutti i precari che hanno lavorato più di 36 mesi. Forte è l’impressione di un governo che, non potendo rinviare l’approvazione del Ddl per la quarta volta, abbia investito il parlamento di un problema che non sa risolvere.
Sul fronte politico, la sinistra Pd distingue ma converge su Renzi. Proprio come sul Jobs Act. Della «Buona Scuola» Cesare Damiano loda l’alternanza scuola lavoro e la «stabilizzazione» dei precari. Fassina vede «ambizioni importanti e positive» ma chiede di ridiscutere i poteri dei presidi. Bersani ne loda la «spinta riformatrice». «Come parlamento – ha ribadito – cercheremo di andare alla svelta». Per l’ex ministro Luigi Berlinguer i critici di Renzi sarebbero i «nostalgici della scuola iper-centralista», mentre la riforma sarebbe «moderna» perché decentralizza. Queste argomentazioni ricorrenti nella pedagogia neoliberista nascondono il rafforzamento autoritario delle figure apicali, oltre che della valutazione poliziesca dei docenti. I Cinque Stelle promettono di «essere propositivi, ma questa riforma ha un enorme bisogno di essere migliorata». Vendola (Sel): «Faremo una battaglia parlamentare per cambiarla». Drastica Maria Mussini (Misto e firmataria della proposta di legge Lip): «È una ristrutturazione aziendale». Alfano (Ncd) rivendica i soldi alle paritarie. Il pegno pagato da Renzi.
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