Lo stesso Harold Pinter amava confessare di aver scritto uno dei suoi ultimi testi (negli anni 90) ispirandosi a un testo di Samuel Beckett, cui era legato da un rapporto di rispetto affettuoso. Il testo beckettiano era Catastrophe, un titolo «d’occasione» per una vicenda assolutamente grave. È dedicato infatti a Vaclav Havel, intellettuale perseguitato, anche con le maniere forti, in quanto dissidente dalla politica del governo ceko (e che poi sarebbe divenuto presidente del suo paese dopo la cosiddetta «rivoluzione di velluto»). Molti intellettuali si schierarono in sua difesa, e il festival di Avignone gli dedicò nel 1982 una programmazione in cui apparve anche Catastrophe, confronto unidirezionale tra aguzzini e vittima.

Da quelle parole vennero a Pinter (che ne fu anche regista e interprete) le poche, violente battute di scherno, dileggio e violenza di due biechi figuri contro un terzo uomo, maltrattato e incappucciato, coronate da un titolo di premonitoria e spietata denuncia: Il nuovo ordine del mondo. Il nesso quindi è evidente e riconosciuto. Così come evidente, e talvolta meticolosamente spiegato dallo stesso Pinter, è che nel suo teatro non ci sia affatto frattura tra i suoi primi testi fatti di conflitti, paure, incursioni e minacce in un ambito ristretto, quasi molecolare, di una coppia, un caseggiato o di una famiglia che sia, rispetto a quelli della maturità esplicitamente politici, dove a combattersi sono le classi e le etnie e i sistemi politici e le potenze che aggrediscono gli stati minori. Il conflitto è il medesimo, anche se ne cambia la portata e la narrazione, dall’individuo alla macrostruttura statuale, dal singolo alla collettività.

Questo piccolo preambolo è necessario per comprendere e apprezzare la felicità di una scelta artistica, presentata a Buti da Dario Marconcini (che quel teatro dirige) e Giovanna Daddi, in scena assieme a Emanuele Carucci Viterbi e il rinforzo di Mario Matteoli. Col titolo Pinter Beckett, prove d’autore, la compagnia ha raccolto il testo «originario» dell’autore irlandese, e cinque titoli, brevi e brevissimi, del drammaturgo londinese. Queste sono composizioni pinteriane di epoca e gusto diversi, che pure, a sentirli e vederli uniti in sequenza, mostrano una intima e fortissima coerenza. Non tanto tematica, anche se di base è il conflitto l’elemento drammaturgico che li sostiene, quanto proprio di visione del mondo, di sensibilità e intima cura per come le creature umane si pongano tra di loro, alla ricerca di un rapporto che può scoprire ora il proprio lato violento ora quello più sentimentale e quasi bisognoso di una qualche ricomposizione, sebbene condannato a una eterna vaghezza.

Può sembrare, a raccontarla così, filosofia spicciola del quotidiano, ma a vederla succedersi lungo i diversi testi, sul palcoscenico del teatrino di Buti, prevale la forza e l’intensità con cui gli attori danno alle parole un peso e un’incisività inconsueti, capaci di turbare ogni spettatore. Marconcini e Daddi si sono forgiati negli ultimi anni alla lezione magistrale, teatrale e cinematografica, di Jean Marie Straub, che ha sviluppato con loro i suoi più recenti cicli creativi, e hanno appreso la capacità di dare ad ogni parola, quasi ad ogni suono, implicazioni che vanno anche molto al di là del loro senso stretto.

Procedendo così attraverso il doppio binario di buio e di luce, di parola e di silenzio, di sequenza e di pause, il percorso acquista forza e ambiguità. A Catastrophe, separati appena da qualche nota evocatoria di musiche lontane, seguono i pinteriani Monologo, le angosciose Voci nel tunnel, Il nuovo ordine del mondo, la raggelante Conferenza stampa in cui il nuovo ministro per la cultura di un qualche paese spiega con orgoglio di aver diretto fino a quel momento i servizi segreti, e infine, spiazzante, Notte, dialogo svagato e misterioso di un uomo e una donna che scavano nella memoria un rapporto dai confini incerti e malfermi, eppure di reciproca dedica totale. Grande prova di tutti gli attori, e grande emozione per ogni spettatore.