Buena Vista Social Club, ritorno al futuro
Miti/Per celebrare i venticinque anni dall’uscita, in arrivo un’edizione speciale del disco Ideato e voluto da Ry Cooder, il progetto mise insieme alcuni tra i più avvincenti artisti cubani, da Compay Segundo a Rubén Gonzalés. Ci pensò Wim Wenders a documentare l'evento
Miti/Per celebrare i venticinque anni dall’uscita, in arrivo un’edizione speciale del disco Ideato e voluto da Ry Cooder, il progetto mise insieme alcuni tra i più avvincenti artisti cubani, da Compay Segundo a Rubén Gonzalés. Ci pensò Wim Wenders a documentare l'evento
Le immagini del lungomare di un Avana ventosa, con le onde che sferzano il Malécon e si spargono sulla strada. A volte arrivano a rimbalzare sul giallo ocra, sul celeste e sul rosso Campari dei palazzi affacciati sull’oceano. Quelle immagini sono molto più di una cartolina e sono diventate un ricordo iconico. Non coincidono infatti solo con l’idea esotica che molti visitatori si sono fatti della capitale cubana, ma anche coi titoli di testa di un film documentario, Buena Vista Social Club, che ventidue anni fa ha fatto deflagrare nel mercato occidentale la tradizione musicale cubana. Protagonista di quel film diretto dal regista Wim Wenders è una vecchia volpe della musica americana (era già una vecchia volpe anche allora): Ry Cooder. Compare anche lui quasi subito, a bordo di un sidecar. Nel vano passeggeri c’è suo figlio Joachim (valente percussionista e batterista). Stanno andando in uno studio di registrazione e nel frattempo Wenders li segue con un campo lungo che sarebbe oggi affidato semplicemente a un drone, e che allora venne probabilmente filmato grazie a una telecamera fissata su un automezzo che precedeva il sidecar. I due sorridono, estasiati da quelle immagini fatte di storia e salsedine e poco dopo arrivano in uno studio di registrazione, dove li aspetta un manipolo di fenomenali veterani: Compay Segundo, Ibrahim Ferrer, Omara Portuondo, Orlando «Cachaíto» López, Rubén González, Eliades Ochoa, tra gli altri. Sono rappresentanti titolatissimi della vecchia guardia musicale cubana: Segundo è del 1907, Ferrer del 1927, Portuondo del 1930, López del 1933, González del 1919 e anche Ochoa, che è un po’ più giovane essendo nato nel 1946, alla fine degli anni Novanta dirige già da una ventina d’anni un’istituzione come il Cuarteto Patria, un ruolo per il quale è stato promosso sul campo direttamente da Pancho Cobas, direttore della Vieja Trova Santiaguera.
SIMBOLI
Sono loro i personaggi simbolo di questa storia, che è la storia di un disco registrato esattamente un quarto di secolo fa (vendendo 8 milioni di copie) e di un film documentario (che incassò 23 milioni di dollari) girato tre anni più tardi dal regista tedesco. Il film ha funzionato da eccezionale volano divulgativo (un po’ come aveva funzionato Lisbon Story per il lancio del fado dei Madredeus). La storia pur con qualche forzatura – Compay Segundo e Omara Portuondo avevano un seguito, magari non planetario, anche al di fuori dell’isola e anche prima dell’incontro con Ry Cooder – si presta benissimo a raccontare la favola di un tesoro nascosto regalato direttamente dal catalogo World Circuit agli scaffali dei negozi di dischi di tutto il mondo (all’epoca c’erano ancora).
Il tocco di Wenders acuisce in maniera implacabile il fascino di quest’operazione che è a dire il vero la scoperta dell’acqua calda per chi già segue la scena delle musiche caraibiche, ma funge da detonatore di popolarità per tutti coloro che quelle musiche le hanno sempre ascoltate con colpevole distrazione. Per qualche anno, prima e dopo lo spartiacque del millennio, le note di Chan Chan, Veinte años, Dos gardenias risuonano ostinate in molte frequenze fm e in molti club o spazi all’aperto. Da inizio 2000 e fino a che l’inesorabile falce dell’età non comincerà a portarseli via uno ad uno, ci penseranno gli stessi protagonisti a diffondere il verbo con una serie di trionfali tour mondiali, inaugurati dalla tappa newyorkese alla Carnegie Hall che viene riproposta anche nel film di Wenders.
Il progetto era stato promosso dall’etichetta discografica World Circuit Records nelle persone di Nick Gold, il chitarrista statunitense Ry Cooder in qualità di produttore e da Juan de Marcos González come direttore. Il nome scelto per l’ensemble è lo stesso dell’omonimo storico locale che si trovava nel quartiere Buenavista di L’Avana, dove era in voga la musica popolare cubana negli anni Quaranta, la session viene fissata negli storici studi Areito, costruiti negli anni Quaranta e di proprietà dell’etichetta musicale nazionale cubana Egrem. Per riprodurre gli stili musicali dell’epoca, come il son cubano, bolero e danzón, furono reclutati una dozzina di musicisti dell’epoca, alcuni dei quali si erano ritirati dalle scene da tempo. Restano di quel fertile raid, alcuni flash sonori e visivi indimenticabili: Orlando Cachaito Lopez, il bassista che in una delle sequenze incornicia le sue prestazioni interpretative con l’aforisma più efficace e profondo: «Il mio unico stile è la concentrazione». E in effetti di concentrazione e non di estemporaneità, di timbro e non di fraseggio, di spazio e non di assembramento di note è fatto il mondo sonoro di questo grande interprete e dei suoi partner.
CENSURE
Oppure Ibrahim Ferrer, maestro del bolero, mago della surplace interpretativa, che per 50 anni era stato uno dei più celebri cantanti di Cuba, aveva cantato in un’istituzione come l’Orquesta de Chepin e poi al fianco di Benny Moré e Pacho Alonso, ma alla fine aveva lasciato perdere la musica, si guadagnava da vivere con la pensione sociale e arrotondava facendo il lustra scarpe. Fino a che non lo andarono a reclutare Cooder, Gold e i suoi vecchi compagni, riportandolo in cima al mondo.
World Circuit e Bmg annunciano oggi i formati dell’edizione del 25° anniversario del Buena Vista Social Club, che uscirà il 17 settembre e comprenderà le versioni 2lp + 2cd Deluxe Book Pack, 2cd Casebook, 2lp Vinile Gatefold e Digitale. Queste edizioni speciali conterranno anche l’album originale rimasterizzato dal vincitore del Grammy Bernie Grundman, oltre a tracce inedite dai nastri originali delle session del 1996. Tutti i formati includono nuove note di copertina, fotografie e testi inediti, biografie estese, art print e la storia del leggendario club dell’Avana, disponibile esclusivamente nel formato Deluxe Book Pack. Tra le registrazioni inedite tratte dalle session dell’album del 1996 alcune «alternate take», ma soprattutto le inedite A tus pies, El diablo suelto, La cleptomàna, Descripción de un sueño e soprattutto Vicenta, un duetto vocale tra Eliades Ochoa e Compay Segundo. La canzone è una composizione classica di Compay Segundo e rievoca la storia di un noto incendio che, il 1° aprile 1909, distrusse quasi tutto il villaggio di La Maya, vicino a Santiago de Cuba, dove Eliades Ochoa era nato e vissuto da bambino, tra piantagioni di banane, caffè e cacao.
Chissà se anche in occasione di questa ricca ristampa si riproporranno i motivati rilievi e le giustificate censure che vennero sollevate da alcuni fin da allora rispetto a questa operazione. Laddove si accusavano Cooder & co. di voler artatamente presentare una Cuba fané, cartolinesca, stereotipata. Con la musica che in questo racconto dalla strada si spostava direttamente in un club, inteso come centro sociale di ritrovo; dove si suonava, si faceva ginnastica, si giocava a carte. L’Avana delle auto classiche (Chevy, Dodge, Cadillac, Buick, Ford, Chrysler…) continuamente restaurate, dei vecchi con grandi sigari in bocca, i cappelli Panama, le gonne colorate delle signore.
PROSCENIO
Una terra in performance perenne, apparentemente ad esclusivo servizio di son e boleri, quando in realtà già a quei tempi, erano la salsa, la timba, il rock e soprattutto il rap a furoreggiare tra i giovani dell’isola ed era forse da lì, piuttosto che da un’operazione di riscoperta, che bisognava partire per perlustrare la fertilissima, anche musicalmente, Guanahani (così L’Avana veniva chiamata dagli autoctoni prima dell’arrivo di Colombo e prima che, nel 1514, il conquistador Diego Velázquez de Cuéllar, la rifondasse con il nome di Villa di San Cristóbal de La Habana). Tutto vero. Sappiamo che operazioni di questo tipo – eterodirette da un team produttivo di bianchi – si prestano a rinnovare il gesto del saluto affettuoso tra amici inquinato dal cappello coloniale che tengono ben in vista alcuni di essi. Sappiamo che le scorribande occidentali in terre esotiche finiscono per suddividere stili musicali, pacchetti strumentali, vicende biografiche e sociologie con il garbo di un falegname che rifila un tassello con la motosega.
Sappiamo d’altra parte che la curiosità musicale di Cooder era sincera, certificata da decine di altre avventure musicali prima e dopo quella cubana, che Wim Wenders è sempre stato un formidabile storyteller (soprattutto quando si tratta di narrazioni musicali) e che la miccia di quell’album e di quel film hanno comunque permesso a un gruppo di «ragazzi» irresistibili di diventare famosi in terza età, conquistare le platee del pianeta e accendere uno zoom su un patrimonio sonoro che si meritava questo formidabile proscenio. Per la ricchezza del repertorio, il carisma degli interpreti e la linfa ancora viva nel dna musicale della società cubana.
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