Quest’anno ci saranno tutti: quattromila espositori provenienti da sessantacinque paesi, innumerevoli addetti ai lavori tra editor, autori pronti a esibirsi in reading e presentazioni, agenti letterari, traduttori, critici, grafici, giornalisti, illustratori, e un pubblico che per quattro giorni, dal 19 al 22 ottobre, dovrebbe affollare di nuovo i padiglioni della Buchmesse, l’intramontabile fiera internazionale del libro di Francoforte, dopo le due edizioni quasi virtuali degli anni scorsi. La manifestazione sarà dunque pienamente «in presenza», sia pure con un minimo di cautela (la direzione della fiera precisa che la disposizione dei padiglioni consentirà di mantenere una distanza prudenziale) e qualche assenza significativa, perché la Buchmesse ha nel frattempo interrotto i rapporti con le istituzioni di Iran e Russia, pur dicendosi disposta ad accogliere autori ed editori indipendenti di quei paesi.
Un grande e quasi trionfale ritorno, insomma, nonostante da tempo si sottolinei che gli affari si concludono ormai con maggiore rapidità ed efficienza per via telematica, e si insinui il dubbio che gli editori potrebbero risparmiarsi i notevoli oneri finanziari della fiera, cui però va riconosciuta un’insostituibile funzione promozionale per il mondo del libro e in particolare per il paese scelto come ospite d’onore.

LO HA CAPITO BENISSIMO la Spagna, che avrebbe dovuto essere protagonista dell’edizione 2021 (causa Covid, però, la sua partecipazione è slittata) e che quest’anno si presenta con uno slogan euforico (Creatività straripante), settanta autori invitati – pur se alcuni, come Eduardo Mendoza e Fernando Savater, saranno presenti in video – e un ricchissimo programma fatto non solo di libri, incontri e conferenze, ma anche di concerti, spettacoli, cinema, mostre d’arte, di fotografia, di grafica, di architettura, così da trasformare un appuntamento professionale in un evento culturale a molte facce, che da mesi va coinvolgendo, oltre a Francoforte, numerose città tedesche. Le polemiche intorno ai temi del suddetto programma e alla lista degli invitati non sono ovviamente mancati, confermando una volta di più che, come diceva Jorge Luis Borges, in una lista si notano per prima cosa le assenze, numerose e a volte ingiustificate.
Una certa mancanza di coraggio e una sostanziale banalità di temi, insieme a un «manifesto» col tono di un pessimo spot pubblicitario, sono, per esempio, al centro dell’autentica invettiva che un critico brillante come Ignacio Echeverría ha pubblicato sulla rivista Contexto, lamentando che «nessuno dei fili tematici che legano la letteratura spagnola alla sua società» sia presente, in nome di un ecumenismo teso a evitare tensioni di qualsiasi genere e ad accontentare un po’ tutti: il grande pubblico, il mundillo letterario, il marketing editoriale che sospinge in prima linea la merce più vendibile e venduta, e la Fiera, interessata ad autori e titoli il più possibile familiari anche al pubblico tedesco. Deciso a «mostrare la forza della cultura spagnola», approfittando pienamente della vetrina planetaria offerta dalla fiera per incrementare la vendita dei diritti editoriali «a livello mondiale», il governo di Pedro Sánchez ha stanziato dodici milioni di euro (due sono destinati a sostenere le traduzioni), e a sottolineare l’importanza dell’investimento sarà anche la presenza dei Reali all’inaugurazione.

Cristina Morales

UNA RISPOSTA OTTIMISTA e determinata, nel complesso, alle rimostranze echeggiate il mese scorso al Foro Formentor, solida e onorata convention letteraria in quel di Mallorca, che ogni anno attribuisce un premio importante e durante la quale traduttori e ispanisti di vari paesi hanno lamentato, cifre alla mano, la poca diffusione e lo scarso prestigio della letteratura nazionale, superata, in traduzioni e popolarità, perfino da quella italiana, e senz’altro meno conosciuta di quella latinoamericana.
Un primo risultato, in questo senso, la Buchmesse «iberica» l’ha già ottenuto: in pochi mesi, ben centocinquanta libri sono stati tradotti in tedesco dalle varie lingue ufficiali della Spagna, in primo luogo il catalano e il basco, che possono vantare una letteratura fiorente e ben rappresentata anche nel programma della Fiera. Il plurilinguismo, osteggiato a lungo dalla dittatura e ancora oggetto di rivendicazioni e battaglie politiche accese, è infatti uno dei vanti della presenza spagnola alla Buchmesse, insieme al risalto dato a scrittori come Paloma Chen, Nadia Hafid, Mohamed El Morabet, Margaryta Yakovenko, Najat El Hacmi, nati in Spagna da genitori venuti da lontano, oppure residenti nel paese sin dall’infanzia. E a essere costantemente sottolineata è anche la presenza femminile: un nugolo di scrittrici di età e cifre stilistiche diverse che occupano imperiosamente i cataloghi, cosa un tempo impensabile (alcune, fortunatamente, note anche ai lettori italiani, come Marta Sanz, Sara Mesa, Cristina Morales, tutte presenti in Fiera). E basterebbe questo a sottolineare quanto la Spagna sia cambiata, nonostante l’irriducibile presenza di una destra tra le più retrive e feroci, dal lontano 1991, l’anno in cui per la prima volta fu ospite alla Buchmesse, sedici anni dopo la morte di Francisco Franco.
Cambiato è, soprattutto, il mercato editoriale spagnolo, che nel 2021 ha conosciuto una stagione di crescita inaspettata (si parla del 5, 6% di fatturato in più rispetto all’anno precedente, e di un aumento delle vendite del 44% nei primi sei mesi dell’anno), nonostante il 2022 sembri qualche battuta d’arresto, causata dall’aumento dei prezzi (i trasporti, le materie prime), dalla situazione economica, dalla carta che scarseggia e che spesso viene accaparrata dai grandi gruppi editoriali, come Planeta o Penguin Random House, concentrazioni colossali di sigle non soltanto spagnole (buona parte dell’editoria latino-americana è nelle loro mani), che possono affrontare meglio la crisi economica.
Più in difficoltà, invece, la straordinaria galassia di imprese indipendenti (sempre più rare: perfino l’Anagrama di Jorge Herralde si è arresa ed è stata ceduta alla Feltrinelli), piccole e piccolissime, che in Spagna hanno caratterizzato il panorama editoriale negli ultimi vent’anni: hanno la grafica e le copertine più sofisticate, fanno le scelte più audaci, occupano nicchie preziose, recuperano autori e autrici giudicati troppo difficili per un mercato di massa o dimenticati ingiustamente (quella delle riscoperte è, al momento, una tendenza forte e anche fortunata) o, scelgono generi trascurati e poco redditizi, scoprono scrittori nuovi che non appena si affermano vengono quasi sempre «rubati» dalla grande editoria, producono raffinatissimi album per bambini (non tra i meno venduti, visto che la produzione per l’infanzia è, insieme a quella degli audiolibri, in espansione costante).

Javier Marías

SONO, INSOMMA, la vera, grande ricchezza di un’editoria che sembra soprattutto orientata alla ricerca e alla proposta di best-seller commerciali (la presenza in Fiera di autori come Pérez-Reverte, Juia Navarro o il terribile Santiago Posteguillo non manca di testimoniarlo), all’eterna rincorsa dei generi – e soprattutto del poliziesco, ormai divenuto una sorta di industria nazionale – a una tranquilla produzione «media» fatta di testi narrativi dimenticabili e sostanzialmente interscambiabili, o a pochi grandi nomi, come un sempre più stanco Enrique Vila-Matas, cui la Buchmesse dedica un incontro, o come Javier Marías, meraviglioso erede dei maestri novecenteschi che la Spagna sembra aver dimenticato, primo fra tutti l’eccelso Juan Benet.
A Marías, appena scomparso, viene dedicato in Fiera un omaggio doveroso, come doverosi sono quelli a un’autrice che è in un certo senso il suo opposto, la popolarissima Almudena Grandes, alla leggendaria Carmen Balcells e al poeta Miguel Hernández, nel centenario della morte: un simbolo della guerra civile, la cui memoria attraversa tutta la narrativa spagnola del novecento e degli anni duemila, come una lacerazione che è impossibile da sanare. E, a proposito di lacerazioni, dopo la Slovacchia, cui la Spagna passerà il testimone alla fine della Buchmesse, nel 2024 toccherà all’Italia: si accettano scommesse su quello che riuscirà a combinare il nostro futuro, e ancora ignoto, Ministro della cultura.