Una cena tra capi di stato e di governo, dopo lo choc del voto del 25 maggio, per gettare le basi del «compromesso» a 28, che possa venire accettato dai diversi gruppi politici dell’Europarlamento: l’obiettivo è distribuire la carte per le varie nomine alla testa delle istituzioni europee. A cominciare da quella del presidente della Commissione, che secondo i Trattati dovrebbe tener conto del risultato delle elezioni. A decidere sul nome che dovrà poi essere approvato a maggioranza dal nuovo parlamento, attorno al tavolo della cena del Consiglio informale di ieri c’erano, tra i leader dei 28, 11 democristiani, 12 socialisti e 4 liberali. Sulla carta, a Strasburgo il Ppe ha il maggior numero di deputati, una ventina di più del Pse, ma ne ha persi 50 rispetto alla precedente legislatura.

Jean-Claude Juncker è il candidato de Ppe, sostenuto pero’ senza troppo entusiasmo da Angela Merkel. Paradossalmente, il lussemburghese Juncker, che è stato primo ministro di uno dei paradisi fiscali europei, avrà tra i principali sostenitori il debolissimo socialista François Hollande. Perché? Hollande vede di cattivo occhio le manovre di Merkel, che non è entusiasta dell’automatismo della scelta del nome e a Washington ha preso contatti con la francese Christine Lagarde, direttrice generale dell’Fmi ed ex ministra della finanze di Sarkozy. «Un non senso per la Francia e per l’Europa» dicono all’Eliseo. La strada di Juncker è in salita: non solo Merkel è tiepida e l’appoggio di Hollande ambiguo e, forse, persino controproducente, ma alcuni conservatori, dallo spagnolo Mariano Rajoy al britannico David Cameron, lo vedono di cattivo occhio: lo considerano «troppo federalista».

Per questo, Martin Schulz, candidato del Pse, non sembra aver perso le speranze. C’è stato un accordo preventivo tra le principali forze – popolari, socialisti e liberali – per rispettare l’art.17 del Trattato di Lisbona e arrivare a un compromesso: si elegge chi arriva in testa, ma si negozia su alcune concessioni per ottenere il voto. Ma Schulz adesso sogna di costruire una maggioranza alternativa, tra Pse, Verdi e Gue. Un’ipotesi teorica, che nell’immediato serve soprattutto ad alzare il prezzo del compromesso per portare Juncker nella poltrona di Barroso e per ottenere un buon altro posto (Alto rappresentante della politica estera? Successione di Herman Van Rompuy alla presidenza del Consiglio Ue?). In ogni caso, l’Europa funziona con le larghe intese, nel bene e nel male. Il Pse chiederà un impegno contro la disoccupazione giovanile e per un embrione di politica industriale in Europa, maggiore prudenza nel negoziato con gli Usa per i trattato di libero scambio (Ttip), e un’azione a favore della regolazione della finanza. Quest’ultimo, un risultato difficile con un lussemburghese a Bruxelles.

L’asse franco-tedesco ha preso un colpo, con il voto in Francia e l’exploit di Marine Le Pen. Così, sulla carta sarà Matteo Renzi ad avere maggiore voce in capitolo per cercare di convincere la cancelliera che è ora di cambiare rotta in Europa.