Martedì prossimo Conte sarà in parlamento per l’informativa, senza voti di sorta, sul Consiglio europeo che si riunirà due giorni dopo con all’ordine del giorno il Piano europeo anti-crisi, di fatto sul Mes e sul progetto di Recovery Fund, la «quarta gamba» del Piano che dovrebbe aggiungersi alle tre già stabilite: Mes, Bei e Sure. Il giorno dopo il governo tornerà in parlamento, stavolta per chiedere l’autorizzazione a uno scostamento di bilancio ancora non quantificato ma che arriverà probabilmente a 60 miliardi di euro, quasi tutti in deficit.

I due dibattiti inevitabilmente si intrecceranno. Lega e FdI tuonano contro la decisione di non chiedere il voto. «Chi andrà a Bruxelles senza un mandato del parlamento è contro la legge. Mi aspetto che qualcuno dai piani alti faccia rispettare la legge», mitraglia Salvini. L’appello cadrà nel vuoto. Mattarella non ha alcuna intenzione di intervenire in una vicenda che riguarda casomai i presidenti delle Camere e comunque, sulla legge, Salvini e Meloni hanno torto.

Non essendoci alcun trattato da ratificare ed essendo invece quella del Consiglio una riunione informale, il governo non ha alcun dovere di chiedere mandati. Non è escluso che un documento di massima e vago venga comunque proposto dalla maggioranza ma sarà solo una schermaglia.

Il giorno dopo però, al momento di votare lo scostamento di bilancio, Calderoli promette di proporre al Senato una risoluzione che vincola lo scostamento al non uso del Mes. Come sempre, la manovra di Calderoli è insidiosa ma la tregua tra Pd e M5S dovrebbe reggere comunque, sulla base dell’impegno a prendere una decisione solo quando tutte le carte saranno sul tavolo.

Da quel punto di vista, nel Pd circolava ieri un notevole ottimismo. Conte si è di fatto rimangiato la scelta, annunciata venerdì in conferenza stampa, di non accedere alla linea di credito del Mes. L’ala governista dei 5S ha ingranato la retromarcia. Il ministro dello Sviluppo Patuanelli finge di confermare il no ma in realtà lo capovolge proclamando che il no «è definitivo per ora». Il presidente della Camera Fico assicura che il Mes non passerà. «Non nel modello della Grecia», si affretta a precisare.

In parte la possibilità della maggioranza di uscire indenne dalla prova dipenderà da alcuni elementi rimasti ambigui nella proposta dell’Eurogruppo. Prima di tutto i tempi di restituzione del prestito: se si trattasse di pochi anni accettarlo sarebbe un suicidio. Conte punta su una restituzione nell’arco di 20 o 30 anni. Poi la facoltatività o meno del prestito: se dovesse andare automaticamente a tutti i Paesi dell’Unione per l’Italia le cose sarebbero più facili. Infine l’assicurazione che non verranno poste condizioni neppure in un secondo tempo.

Ancora più importante l’esito della trattativa sul Recovery: per Conte tornare a casa senza quel risultato sarebbe un colpo fatale e il caso Mes tornerebbe a essere esplosivo. Le teste d’uovo di Bruxelles stanno lavorando a un progetto parallelo: vorrebbero passare per il bilancio europeo, finanziandolo però con strumenti «innovativi», cioè in qualche misura affini, pur se certo non identici, all’emissione di titoli europei. Impossibile dire da ora se sarà un progetto concreto o se, come il Sure, sarà più fumo che arrosto.

Gli aspetti tecnici, però, contano solo fino a un certo punto. L’attacco del Pd è stato deciso sulla base di considerazioni politiche, non economiche. Impossibile, per il Pd, permettere che in Europa si diffondesse l’immagine di un governo italiano in balia dei duri dei 5S, slittato su posizioni considerate a Bruxelles poco affidabili. Dal punto di vista economico il prestito del Mes può essere poca cosa, dal momento che la differenza sta tutta e solo nel più vantaggioso tasso d’interesse, che ha il suo peso ma in una fase come questa è davvero, come scriveva ieri Il Sole 24Ore, «questione di pochi spiccioli». Ma dal punto di vista politico sono invece in ballo per intero le credenziali del governo italiano a Bruxelles. Accedere al prestito equivale a una «prova d’amore»: la dimostrazione che il governo italiano, incluso il sempre sospetto M5S, si è lasciato alle spalle una volta per tutte i tempi del braccio di ferro sovranista con l’Europa.