Durante una vacanza sul lago di Garda, con pochi soldi e un qualche desiderio di avventura, Max Brod e Franz Kafka decidono di attraversare i confini dell’Impero per assistere a Brescia a una pioneristica gara di volo. Sui taccuini che Brod aveva portato da Praga avrebbero scritto due reportages per una sfida di penna e una facile pubblicazione, ricca di tecnica, bel mondo, nuovi eroi, e modernità.

Il progetto in parte riuscì: a settembre il quotidiano «Bohemia» pubblicò la cronaca (‘tagliata’) di Kafka, mentre lo scritto di Brod apparve poco dopo in una rivista culturale monacense.

Senza scambiarsi pareri né appunti, quei giovani impiegati praghesi dalla tormentata vocazione letteraria e dalla esibita diffidenza per i miti della tecnica, scrivono testi di radicale diversità: li si legge in una riedizione interessante, qua e là affrettata, con molte foto e una appendice: Franz Kafka – Max Brod, Aeroplani a Brescia (Morcelliana, a cura di Renato Pettoello, pp. 102, euro 12,00).

Mentre Brod si lancia in raffinate esibizioni liriche, Kafka insegue e stravolge i modelli letterari del viaggio in Italia con una prosa di quotidiana ruvidezza.
«Giovane ventenne, piccolo, esile e di un’infinita modestia» – così Stefan Zweig lo presenta – Brod scrive un incantevole compendio di soggettivismo austriaco: cita l’attacco di Momenti in Grecia di Hofmannsthal, esercita lo sguardo affettuoso di Peter Altenberg sulle piccole cose di vita ordinaria e corteggia l’inquietudine di Rilke. Con questo bagaglio letterario già un po’ consunto attraversa lo spazio dell’areodromo tra i veli delle donne e il movimento della folla, esercitando curiosità e lentezza. Anche quando finalmente la gara ha inizio, Brod non rinuncia agli sconfinamenti visionari: «Improvvisamente – scrive – risuona un acuto sferragliare da uno degli hangar. Le tende si gonfiano spinte dall’interno; così m’immagino una seduta spiritica; mani invisibili agitano queste tende con gran forza».

Poi, rispettoso dei doveri del cronista, inizia a descrivere con qualche attenzione piloti, aerei, guasti e ritardi mentre l’introspezione cede provvisoriamente alle belle storie dei protagonisti Curtiss, Bleriot, Rougier, Calderara. Ma nel suo specchio decadente gli eroi della giornata finiscono per rimandare solo una immagine fragile e dimessa in quell’ «uomo che passa zoppicando, stanco, curvo, Curtiss, e con un leggero tocco al berretto, senza alzare lo sguardo, ringrazia».

Il testo di Kafka è, al confronto, di programmatica sobrietà. Travestito da gazzettiere, riporta con diligenza il programma della gara e si avvia, carico di critiche, verso quel lembo di nord Italia che fa ormai parte di un regno impresentabile. Misura sporcizia e disordine, gaglioffagine e precarietà gettando uno sguardo distratto a ciò che di pittoresco il Bel paese poteva mostrare. Approdato all’aerodromo, descrive lo spettacolo caotico e provvisorio, come se fosse appollaiato in un panottico o – scrive Ingold nel suo bel libro sulla letteratura di volo – seduto nella carrozza di Goethe.

Osserva i piloti e il pubblico febbrile miniaturizzando tutto ciò che vede: i protagonisti, soli e lontani, gli aerei minuscoli, simili a un gioco di bambini, le emozioni del pubblico già in formato fotografico. Non c’è neppure quel fremito di libertà che aveva accompagnato nella Descrizione di una battaglia il volo», e inseguito quel «gettarsi nell’aria» per poi scomparire. Al momento della gara, registra con la dovuta attenzione ambienti, macchine e piloti, attento soprattutto ai fallimenti, forse per citare segretamente le ali inceppate della sua scrittura. «Che cosa succede dunque? Qui sopra un uomo è intrappolato in un telaio di legno a venti metri da terra e si difende da un pericolo invisibile, assunto volontariamente. Noi, invece, stiamo ricacciati qui sotto, come nullità, e osserviamo quest’uomo».

Quel pubblico di «nullità», un po’ lo incuriosisce: accenna agli uomini famosi che attraversano l’aerodromo, da D’Annunzio a Puccini, nomina qualche personaggio dai titoli altisonanti, osserva distratto le donne e inquieto attende l’ora in cui «finalmente, ridiventati esistenze autonome, partiamo».