Un horror a budget ridottissimo ha vinto il premio Vesna del 18° Festival di cinema sloveno che si è concluso ieri a Portorose. La rassegna ha presentato nell’arco di sei giorni buona parte della produzione nazionale degli ultimi 12 mesi, comprese le coproduzioni. Come miglior film, tra i sette presentati, la giuria ha scelto Idila, debutto nel lungometraggio di Toma Gorki. Il titolo di miglior documentario è andato a Dom – Casa di Metod Pevec, che ha pure ottenuto il premio del pubblico. Tra i sei lungometraggi di coproduzione minoritaria, in maggioranza croati, ha vinto Kosac – The Reaper di Zvonimir Juri. Miglior interprete femminile Mojca Fatur (Štiri stvari, ki sem jih hotel po eti s tabo – Four Things I Wanted To Do With You), che ha ricevuto pure il premio della rivista Stop come attrice dell’anno.

Miglior attore Ivo Baris (era lo psicologo che regalava il coniglio in Zoran il mio nipote scemo), al festival con tre film, per il cortometraggio Ljubezen na strehi sveta – Love On The Roof Of The World di Jan Cvitovi. Un palmares per lo più di nomi noti nel panorama sloveno e non solo: Cvitovi è il cineasta più rappresentativo di oggi, Leone del futuro a Venezia con Pane e latte (2001) e vincitore del Torino Film Festival 2005 con Di tomba in tomba, Pevec è conosciuto soprattutto per Aleksandrinke.

Idila ha costituito la sorpresa, nell’ambito di una cinematografia di non grandi numeri ma vivace e aperta a livello internazionale. Gran parte dei film sono sostenuti, cortometraggi compresi, dalla Tv slovena e dallo Slovenian Film Centre e questo rappresenta una risorsa e un limite, soprattutto nel far crescere i registi, che possono contare sui sostegni e a volte si adagiano su un linguaggio televisivo. È il caso di Matev Luzar, molto promettente con il suo esordio Good To Go, commedia amara della terza età, che in Girls Don’t Cry non azzecca toni e ritmi.
Centra il bersaglio Gorki usando elementi anche abusati del genere horror, come la giovane modella alle prese con una situazione spaventosa, ma introducendo un’ambientazione in montagna abbastanza originale e giocando sugli stereotipi, grappa ottenuta dai cadaveri per primo. Una modella, un fotografo e una aiutante vanno per fare degli scatti in quota, si imbattono in persone che vendono prodotti locali lungo la strada e in due montanari poco ospitali. Tra scuri e altri oggetti pericolosi, per i tre si mette male. La trama è esile, ma il regista la sa usare come risorsa per fare paura.

Il corto di Cvitovi, che aveva anche la buona commedia Šiška Deluxe su tre perdenti che decidono di aprire una pizzeria che debutterà al Festival di Cottbus, è un piccolo gioiellino, che riserva sorprese fino all’ultima inquadratura. Una coppia di anziani nella loro casetta tra i palazzoni sono impegnati nelle piccole cose, riparare un orologio e cucire, quando iniziano a discutere per gelosia. Schermaglie di un amore che ancora resiste e vissuto da una prospettiva unica. Un anziano con l’Alzheimer è il protagonista dell’altro corto City Lights di Klemen Dvornik e scritto da Goran Vojnov. L’uomo sale su un taxi di sera e non ricorda dove andare. Un film di fraintendimenti, di scontri tra generazioni, di diverse visioni del modo e di critica agli arricchiti e a chi scommette ai casinò (tema che ritorna in diverse opere).

Nel racconto breve si è cimentata anche Sonja Prosenc (candidata slovena all’Oscar per Drevo – The Tree) con Improntu, storia di una coppia da differenti punti di vista e carica di suggestioni visive. Kosac è quasi un thriller che porta in continuazione verso sviluppi imprevisti, partendo da una donna rimasta in panne con l’auto di notte e soccorsa da un uomo con alle spalle una condanna per stupro, ha battuto una concorrenza di buon livello.

Tra questi Sole alto – Zvizdan di Dalibor Matani, già premiato a Cannes in Un certain regard, e in uscita italiana a fine ottobre per Tucker Film: tre storie diverse interpretate dagli stessi due strepitosi attori, Tihana Lazovi e Goran Markovi. Tra i documentari merita Tehnika ljudstvo – Technology To The People di Slobodan Maksimovi, disobbedenza civile negli anni ’80 all’arrivo dei primi personal computer. Strumenti vietati in Jugoslavia, importati di nascosto e sviluppati da giovani intraprendenti e smanettoni (uno di loro è diventato ministro). Un film ritmato che fa la gioia di chi è appassionato di tecnologia, è nostalgico degli ’80 o di Jugoslavia