Un giorno Brittany si svegliò e si accorse che dal suo occhio destro non vedeva per niente bene. Pensò che durante il giorno sarebbe passato tutto. Una puntura di qualche insetto magari, oppure un’allergia. E invece non andò così. La mattina seguente, uguale. Iniziò a preoccuparsi, il verdetto del medico non lasciò dubbi: retinoblastoma. Lo stesso, terribile male che pochi anni prima le aveva portato via la sorella maggiore. Brittany aveva appena dieci anni quando Jamie morì e, poco dopo, il padre abbandonò la famiglia. Per fortuna la sorella fece giusto in tempo a insegnarle a suonare un po’ il pianoforte e le aveva trasmesso la grande passione per la poesia. In poco tempo lei, cresciuta in una famiglia non troppo fortunata dell’Alabama, dedicò tutte le sue energie per riuscire lì dove la sorella si era dovuta fermare.
All’East Limestone High School di Athens perfezionò la tecnica strumentale, studiò molto, le sue radici di afroamericana ma non solo, passando direttamente dal piano alla chitarra. Brittany Howard lì si è formata, erano i primi anni Novanta. Strano che solo dopo così tanti anni arrivi questo suo debutto discografico, Jamie, guarda caso dedicato proprio alla sorella scomparsa. In realtà lei ne ha fatte di cose in questi anni. Ha formato, insieme a un altro ragazzone conosciuto proprio in quel college, niente meno che gli Alabama Shakes, una band da 4 grammy, un bel po’ di dischi venduti in tutto il mondo e altrettanti concerti. È la chitarrista e cantante, proprio quella voce lì. Jamie è un lavoro autobiografico, nel senso più ampio.

PARTE dal ricordo della sorella e della famiglia e arriva molto dopo, parlando di lei, dei suoi amori, dei tour, delle strade, delle persone. Racconta di amori non corrisposti (Georgia) e di una compagna del college più grande di lei che proprio non la filava; dell’affetto che la lega al padre nonostante abbia abbandonato la famiglia (Stay High). He Loves è il pezzo che meglio racchiude il senso di questo disco: una riflessione sulla fede e sulla trasgressione, brano in cui lei mostra la sua duttilità nel passare dal rap al soul e lo fa meravigliosamente e senza alcuna fatica.
Da D’Angelo a Smokey Robinson in un batter di ciglia. Concepito durante un lungo viaggio che l’ha portata da Nashville fino a Topanga in California, interamente inciso a Los Angeles, Jamie è impreziosito dalla presenza di alcuni importanti musicisti: una manciata di amici, tra cui il batterista di estrazione jazz Nate Smith e anche Zac Cockrell, già bassista degli Alabama Shakes.

MA SU TUTTI Robert Glasper, uno dei pianisti jazz di nuova generazione più interessanti in circolazione, innovativo e sperimentale al punto giusto. Intensa la sua improvvisazione in 13th Century Metal, quel linguaggio che sa perfettamente muoversi tra le trame dell’intero patrimonio neroamericano. Consigliabile, infine, la visione e l’ascolto del bel Tiny Desk Concert, la serie di live cult alla NPR radio, rintracciabile facilmente in rete.