Uscito da pochi giorni in libreria, Per quieto vivere (Fazi, pp. 221, euro 16) è il terzo libro di narrativa di Massimiliano Smeriglio. Per moltissimi aspetti costituisce il primo passo nella direzione di un percorso del tutto nuovo, più maturo e più impegnativo. Se sociologia e azione erano gli elementi dominanti della narrazione dei primi due titoli , quest’ultimo mette al centro gli esseri umani, le loro emozioni, le loro miserie materiali e morali. Le loro debolezze e i (pochi) momenti di felicità. A guidare l’urgenza della scrittura è la cronaca della vita quotidiana – non la sociologia – ed è anche la storia – molto più che la politica. Tutto nella ricerca di un ingaggio, di un corpo a corpo, con le questioni della nostra esistenza e che impegnano chi legge oltre chi scrive.

LE STORIE INDIVIDUALI di oggi, probabilmente destinate a consumarsi nella solitudine e nell’oblio, diventano elementi di un bricolage narrativo che le inserisce in un unico contesto: quello di un grande condominio. Come un acquario, il condominio sembra proteggere, ma costringe. È una comunità che non riesce a comportarsi come tale. È debole perché priva del principale elemento coagulante, la solidarietà. La sua vulnerabilità consiste nel ridurre ciascuno dei suoi componenti a potenziale vittima del pesce predatore.

Il portiere, un uomo molto frustrato e ancor più rancoroso che sbircia le vite degli altri e cerca di approfittarsene. Odia tutti. Come in uno slogan di moda in certe curve degli stadi. Odia tutti , come gli heaters che infestano i social. Nei suoi comportamenti subdoli e criminosi si sente come investito di una miserabile missione e, per se stesso, produce alibi e giustificazioni senza sosta. Il suo lavoro gli fornisce grandi opportunità nei confronti di se stesso e degli inquilini. Egli potrebbe essere il soggetto di interventi di aiuto e di sostegno, ma sceglie di essere una sorta di giustiziere. Potrebbe uscire dalla guardiola e interessarsi al dolore di una signora pazza o di un anziano malato ma invece si chiude nella sua tana e da lì si illude di governare e punire il mondo. Il suo mondo per lo meno.

MA COME È POSSIBILE che tutto questo accada? Cos’è che rende realizzabili i piani criminosi di un tale personaggio? È una coltre di buon senso, di diffidenza e di paura che prende il nome appunto del «quieto vivere». Una cupa tranquillità che avvolge la vita del condominio e che porta tutti e ciascuno a girare lo sguardo. A non vedere. Per scelta. Per pigrizia, etica e civile. Non a caso i personaggi non hanno nome. Si ha l’impressione che questa sia stata una scelta loro e non dell’autore. Un padre, una madre, un figlio, un interno 6, scala H interno 9…. Dentro la gabbia dell’anonimato si rivolgono direttamente al lettore in una teatralità che mette in imbarazzo.

Insomma, Per quieto vivere di Massimiliano Smeriglio parla di noi. Oggi. Della nostra incapacità di farci carico delle fragilità dei nostri simili, vicini o più lontani emotivamente. E della nostra ossessione di tranquillità e sicurezza mentre intorno a noi il mondo ribolle. Parla poi delle nostre colpe o perlomeno delle nostre responsabilità nell’aver lasciato che camorristi e fascisti gestissero le nostre città. E della vigliaccheria che muove la cultura del linciaggio – nel 1944 come adesso – massima espressione della violenza e massima espressione della miseria di chi agisce nascondendosi nel branco.

Solo i giovani che abitano il condominio sono trattati con qualche benevolenza. Ma è chiaro che devono cavarsela da soli. Essi si trovano nelle loro condizioni per dovere e/o per affetto, ma presto salteranno fuori dall’acquario. E forse una di loro. Una ragazzina tredicenne di pochissime parole. Una ragazzina che molto ha visto e molto sa. Lei può spezzare la nostra maledizione