La sua vita doveva essere un’estate senza fine, ma è stata un viaggio di sofferenze e tormenti, di cadute rovinose e di tentativi spesso fallimentari di ritrovare la serenità. È stata però una vita dedicata anche alla creatività e alla musica e scandita da canzoni che hanno segnato l’epoca del pop. Il 20 giugno compie 80 anni Brian Wilson, fondatore e principale autore della musica dei Beach Boys, band che fondò con i fratelli Carl e Dennis nel 1961. La loro storia inizia in uno scenario apparentemente idilliaco, una casa della piccola-media borghesia nella zona sud-ovest di Los Angeles che si affaccia sull’Oceano Pacifico. Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio del nuovo decennio l’America visse un periodo di grande ottimismo e crescita. Soprattutto la California era la terra dei sogni e delle possibilità, dove una giovane generazione stava creando nuove culture ed esplorando nuovi stili di vita. Casa Wilson però, dietro la facciata di perfezione, era un posto terrorizzante dove dettava legge Murry Wilson, un padre-padrone violento e roso da un’ambizione mai realizzata di diventare un compositore di canzoni di successo. Alcolizzato, possessivo, violento plasmò i propri figli a immagine e somiglianza del sogno che per lui non era diventato realtà. Fu l’architetto del loro successo, ma segnò indelebilmente le loro vite.
La profondità di quelle ferite e il dramma della vita di Brian Wilson emergono perfettamente nel documentario Long Promised Road, realizzato da Brent Wilson, uscito di recente e che racconta la carriera, il genio e i traumi di uno dei songwriter più importanti della storia della musica americana. Accompagnato dall’amico giornalista Jason Fine, Wilson, ripercorre la sua vita e appare come un anziano fragile, sensibile e impaurito, appena in grado di reggere il contatto umano e i più banali imprevisti della quotidianità, ma allo stesso tempo capace di illuminarsi in uno studio di registrazione e di trasfigurarsi davanti a un pubblico e a un pianoforte. La sua fragilità scompare e la musica diventa protagonista.

QUESTIONE DI FAMIGLIA
I Beach Boys nacquero quando i tre fratelli Wilson si unirono al cugino Mike Love e all’amico Al Jardine e, cavalcando le passioni di quell’epoca si dedicarono alla musica da spiaggia e alla moda californiana del momento: il surf. Fu solo questione di mesi e il quintetto, che sposava la spensieratezza del primo rock’n’roll con le melodie vocali del doo-wop, divenne una macchina da successi. Entrarono in classifica per la prima volta nell’autunno del 1961 con Surfin’ e all’inizio del ’63 con Surfin’ Usa ottennero la loro prima top ten e la loro prima hit internazionale. Era la celebrazione della cultura gioiosa che si stava creando attorno al surf (in realtà sport praticato da solo un membro della band, Dennis Wilson), i testi erano adolescenziali e spesso ingenui, ma l’architettura melodica era perfetta: i brani erano accattivanti, contagiosi, istantaneamente riconoscibili. Il padre Murry svolgeva il ruolo di manager e produttore e costrinse i suoi ragazzi a ritmi di lavoro ossessivi. Nel 1964 i figli si ribellarono e decisero di rescindere ogni legame professionale con lui. Brian ebbe la sua prima crisi depressiva che lo portò ad abbandonare le esibizioni dal vivo. Ma in anni frenetici per la musica pop e rock nuove band si erano affacciate sulle scene, i Beach Boys rischiavano già di diventare una band del passato. Dalla seconda metà del 1965 però Brian iniziò a lavorare su un disco che rompeva con la tradizione e con il repertorio precedente del suo gruppo. Nel maggio del 1966 usciva Pet Sounds a oggi riconosciuto come uno dei capolavori discografici del XX secolo. Brian, ispirato da Phil Spector, assunse le redini come produttore, innovò suoni e melodie e creò un album pop inedito e straordinario, facile nell’ascolto, ma intricato, curatissimo e sorprendente nelle soluzioni musicali. Dall’altra parte dell’oceano, Paul McCartney rimase senza parole ascoltandolo e capì che i Beatles avrebbero dovuto sforzarsi per reggere il confronto. Pet Sounds sarà una delle principali ispirazioni di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. «Rimango ancora oggi stupefatto – ha detto Bruce Springsteen intervistato per il documentario Long Promised Road – da come riuscisse a usare arrangiamenti molto complessi che alla fine suonano così semplici quando li ascolti». L’album fu però ai tempi accolto con freddezza, i ragazzi da spiaggia avevano spiazzato tutti. Brian si dedicò maniacalmente a un nuovo disco, che avrebbe dovuto superare anche le vette del predecessore e doveva essere, così disse, «una sinfonia adolescenziale dedicata a dio». Ma era ormai in preda ad abusi alimentari e di sostanze, vittima di allucinazioni, i suoi comportamenti erano bizzarri e incoerenti. Il nuovo album che doveva intitolarsi Smile non vide mai la luce. Per i Beach Boys che ormai erano diventati un gruppo di pop sperimentale, iniziarono anni di declino commerciale e per Wilson un calvario destinato a durare decenni, fatto di periodi di oblio e fiammate creative e di genio artistico.

PATTO COL DIAVOLO
Droga, isolamento, alcol, obesità, malattia mentale, Wilson cercò una via d’uscita grazie all’aiuto di uno psicologo, Eugene Landy, contattato per la prima volta nel 1975 e poi diventato dal 1982 il suo unico terapeuta. Fu un patto col diavolo. Landy lo costrinse a perdere peso e a disintossicarsi, ma lo plagiò, lo allontanò da parenti e amici per anni e lo rese succube del suo potere. Così come accadde con il padre Murry anche qui Landy utilizzò Brian per aspirare a quel successo che aveva fino ad allora solo sognato. Lo psichiatra arrivò persino ad arrogarsi dei diritti d’autore e di produzione sull’opera musicale di Brian, facendo anche pubblicare un’autobiografia dell’artista di cui percepì un terzo dei diritti. Grazie all’intervento del fratello Carl, il medico fu allontanato e radiato dalla professione. Dennis Wilson intanto era morto nel 1983, anch’egli vittima di una vita disordinata che l’aveva visto addirittura finire sotto l’influenza malefica di Charles Manson.
Brian riemerse dal periodo di Landy fragile e invischiato in diverse cause legali. Ma iniziò a ricostruire la sua vita grazie anche al matrimonio con Melinda Ledbetter, sposata nel 1995. Per il ragazzo che aveva cantato l’estate, l’autunno della vita è stata forse la parte più radiosa. I suoi demoni non se ne sono mai andati. Ancora oggi la sua quotidianità è travolta da voci che lo ossessionano, angosce incomprensibili e dal ricordo malinconico dei fratelli che ormai ha perso (anche Carl è morto nel ’98 ucciso da un tumore). Ma da una ventina d’anni ha ripreso con costanza la carriera musicale e le esibizioni dal vivo. Il mondo del pop e del rock hanno riconosciuto l’importanza artistica dei Beach Boys. I loro primi successi sono evergreen, Pet Sounds è universalmente ritenuto una pietra miliare e altri lavori degli anni «bui» come gli album Surf’s Up o Holland sono stati rivalutati da una nuova generazione di ascoltatori.
Nel 2004 Brian ha messo mano al lavoro lasciato incompiuto in quel fatale 1967, riuscendo a pubblicare la sua versione dell’album Smile, il seguito mai nato di Pet Sounds. Nel 2012 è uscito un nuovo album dei Beach Boys, That’s Why God Made the Radio, che ha visto di nuovo insieme i membri superstiti della band, Brian, Mike Love e Al Jardine. Sono tornati nella top ten degli album dopo quasi mezzo secolo di assenza. Brian, ragazzo di 80 anni, riprenderà quest’estate negli Stati Uniti i concerti e sarà in tour accompagnato dai Chicago. Sul palco è evidente la sua fragilità e ormai non può più certo nascondere la sua età, ma per lui esibirsi significa essere a contatto con l’unica cosa che nella vita non l’ha mai tradito: la musica.