Se mai è esistito un uomo la cui influenza sul sogno dei Sixties e sulla cultura popolare è stata tanto impalpabile e sfuggente quanto imprescindibile, questo è stato Brian Jones. Il 3 luglio di quest’anno sono passati esattamente 50 anni dalla sua morte, eppure la sua presenza eminentemente giovanile, se non adolescenziale, sembra fuggita via da poco lasciando irrisolte tutte le questioni che ha posto la sua persona e, tramite essa, la sua epoca. Cresciuto a Cheltenham, in una ricca provincia conservatrice, giovanissimo è travolto dall’ascolto del jazz, dall’avvento del rock’n’roll, incuriosito e poi sempre più innamorato dell’allora poco conosciuto blues elettrico americano. La sua ribellione lo porta gradualmente a trascurare e poi abbandonare gli studi. Non avrà mai il perdono dei genitori, che gli negheranno da allora l’affetto. Brian, cinico e spesso crudele bohémien, è però anche fragile, insicuro, disperatamente bisognoso dell’amore e dell’approvazione altrui.

QUANDO, dopo aver calcato i circuiti trad jazz locali e non, diventa il pupillo del purista di blues elettrico Alexis Korner, è già un musicista rinomato (nonostante la giovane età), uno dei primi in Inghilterra a suonare la chitarra slide amplificata. Trova nel giro di Korner i futuri Rolling Stones che ha già 2 figli illegittimi alle spalle che presto diventeranno 3. La sua esperienza musicale e di vita ne fa il leader naturale della band.
I primi dischi del gruppo sono rifacimenti di brani blues, soul e rock’n’roll che hanno poco di straordinario se non la spontaneità dell’insieme e l’armonica blues di Jones, nonché il senso di oscurità che il manager Andrew Loog Oldham sfrutta per contrapporli ai Beatles in quanto «cattivi ragazzi», in una felice campagna pubblicitaria che avrà però più tardi conseguenze devastanti. Oldham, che adora Jagger e non ama Jones, spinge il duo Jagger-Richards a competere, nella composizione di pezzi originali, con quello costituito da Lennon-McCartney. Se i primi tentativi dei due songwriter non sono straordinari, quando iniziano a scrivere brani come The Last Time e Satisfaction, Brian si sente deposto dal ruolo preminente nel gruppo; né Oldham, Jagger o Richards, fanno nulla, in quel clima anfetaminico, per risparmiargli umiliazioni. Jones odia ormai le canzoni della band che ha fondato secondo la sua visione. Eppure su Aftermath, il primo album degli Stones a possedere una vera unitarietà, è lui a ideare il tema di sitar che dà vita a Paint It Black , a arricchire del suono di marimba l’altrimenti modesta Under My Thumb e di quello del dulcimer Lady Jane. È sua inoltre la fondamentale armonica di Goin’ Home. Similmente opererà nei successivi singoli e album del florido periodo psichedelico del gruppo anche se con svogliatezza ed evitando il più possibile la chitarra, di cui è stanco. La seconda metà degli anni Sessanta è comunque teatro di un rinnovato trionfo pubblico per lui, grazie anche alle permanenze negli Usa e i viaggi a Tangeri alla ricerca di un esotismo perduto (dopo la sua morte gli Stones pubblicheranno in un disco, Brian Jones Presents The Pipes Of Pan At Joujouka, la meravigliosa musica che Brian ha catturato nel ’68 dai musicisti sacri di Jajouka, in Marocco, scoperti tramite Brion Gysin).
È comunque Jones, fin dai primi tour americani, a frequentare il milieu intellettuale dei ’60, da Wallace Berman a Robert Fraser, a Bob Dylan. È lui ad aprire simbolicamente le danze degli Acid Test californiani salendo sul palco con Jerry Garcia, lui a presentare Hendrix a Monterey. Grazie anche alla sua apertura verso le droghe psichedeliche (che Jagger, maniaco del controllo, invece aborrisce), al suo vestire sgargiante, glamour, ambiguo diviene l’emblema della svolta lisergica dei Sixties.

MA LA SUA VULNERABILITA’ è aumentata, anche perché le droghe aggravano la sua asma e la sua depressione. Da sempre appassionato di occulto, trova una compagna di esoterismo, lusso sfrenato e decadenza morale nell’aspirante attrice Anita Pallenberg, con cui arriva a commettere atti di crudeltà ripugnante. Ma la storia finirà peggio che mai per lui: dopo che gli Stones e l’entourage hanno organizzato un viaggio in Marocco, Jones è costretto a fermarsi in un ospedale francese per una sospetta pneumonia. Gli altri proseguono e in Spagna Anita intreccia una relazione con Keith Richards. Riunitisi in seguito tutti a Tangeri, il sempre più debilitato Brian, sentendo allontanarsi Anita, la sfida a un gioco sessuale estremo. Al suo rifiuto l’aggredisce. Il giorno dopo Jagger paga segretamente il conto, mentre un uomo dell’entourage persuade Gysin a distrarre Jones e lui lo porta fuori Tangeri. Al ritorno, Brian non trova nessuno: lo hanno tutti abbandonato senza lasciare messaggi o recapiti.

MA NON E’ QUESTO a dare il colpo finale a Jones, come è stato sostenuto. Sono i pretestuosi processi per detenzione di droga nei confronti di Jagger e Richards, e infine anche suoi, fomentati da una stampa popolare moralista e famelica di scoop e un poliziotto in cerca di notorietà, a fargli perdere ogni residua fiducia in se stesso, Confuso e quasi regredito a uno stato infantile, durante le session di Beggars Banquet decide insieme a Jagger di lasciare gli Stones.
L’annegamento nella piscina della sua casa a Hartfield dove vive insieme alla sua ultima compagna Anna Wohlin, sembra il triste ma naturale epilogo di tutto. C’è chi non rinunciato a considerare l’evento un omicidio mascherato, ma non è questa la sede per discuterne.
In realtà la perdita di se stesso tramite la progressiva perdita della suprema creazione della sua vita, i Rolling Stones, lo aveva ucciso ben prima. Brian Jones era eminentemente un musicista; ciò che lo rendeva felice non era la fama e nemmeno tanto le donne, quanto la musica. Suo malgrado era diventato un’icona, ma il progetto di lasciare gli Stones per rimettersi a fare blues, certo in una forma rinnovata e sorprendente come la sua fertilissima mente avrebbe certo permesso, non lo abbandonò mai.