Theresa May ha ricevuto il suo primo ceffone politico da quando si è insediata al numero dieci di Downing Street. Gliel’ha vibrato Lord Thomas of Cwmgiedd, giudice della High Court, che ha deciso che soltanto il parlamento potrà attivare l’articolo 50 del trattato di Lisbona, la via d’uscita legale del paese dall’Ue che a sua volta metterà in moto la famigerata Brexit. «La regola più fondamentale della costituzione del Regno Unito è che il parlamento è sovrano», ha detto il giudice, aggiungendo che la decisione del governo non rispetta la legge ratificata da Londra nel 1972 con l’ingresso nell’allora Cee.

IL VERDETTO giunge in risposta all’appello mosso dalla finanziera «e filantropa» Gina Miller assieme ad altri imprenditori. Il manipolo di milionari, coadiuvato da un gruppo di pressione organizzato alla bisogna, aveva assoldato tre poderosi studi legali per contestare la riluttanza di May a chiamare in causa il parlamento sulla questione negoziale e procedere invece spedita applicando l’articolo 50, ha detto, il prossimo marzo.

I giudici hanno ribadito con nettezza la natura consultiva – e dunque politica – del referendum rispetto alla sovranità di Westminster, stabilendo quest’ultima al di sopra anche della cosiddetta «Royal prerogative», un insieme di poteri con cui la sovrana investe il governo e il primo ministro dell’autorità di scavalcare il parlamento (che, come si sa, nel caso della Brexit è in maggioranza contrario) in questioni di politica estera e nella ratifica o nello scioglimento di trattati. «Nel giudizio della corte, le argomentazioni sono contrarie sia al linguaggio usato dal parlamento nella legge del 1972 sia ai principi fondamentali di sovranità del parlamento e l’assenza di qualunque facoltà da parte della corona di cambiare la legge nazionale con l’esercizio delle sue prerogative», ha sentenziato il giudice.

La prima ministra inglese Theresa May - Reuters
La prima ministra inglese Theresa May – Reuters

DISSIMULANDO LO SCORNO, il governo, attraverso il ministro per il commercio internazionale Liam Fox, ha immediatamente replicato che farà appello presso la Corte suprema. L’udienza si terrà il 7 e 8 dicembre prossimi. La decisione rallenterà ulteriormente un percorso che fin dall’inizio si profilava di durata biblica e che invece dovrebbe, sempre secondo il trattato di Lisbona, svolgersi in soli due anni. Un grosso problema per il governo May, che finora aveva dato l’impressione di non avere uno straccio di strategia su come condurre le delicate e infinitamente complesse trattative.

Benché sia abbastanza improbabile che il parlamento voti contro il governo sull’articolo 50, si profila il rischio di una seria crisi costituzionale che in un paese senza costituzione scritta è un temibile ginepraio. Ma i tempi andrebbero ad allungarsi indefinitamente in ogni caso, soprattutto qualora la discussione vada dalla camera bassa a quella dei Lord.

I «MERCATI» hanno immediatamente plaudito alla vittoria di Miller: la sterlina si è risollevata, nella prospettiva – nonostante tutto improbabile – che l’uscita sia del tutto revocata o che come minimo non sia «hard» (scenario in cui il paese resterebbe del tutto fuori del mercato unico). In ogni caso, si tratta di un chiaro segno che la postura «populista» filo-tabloid di May, lei stessa contraria all’uscita dall’Ue fino al 24 giugno scorso, rischia di rafforzare il Labour di Jeremy Corbyn, distintosi ultimamente nel mettere alle corde il governo proprio sulla questione del voto parlamentare sull’articolo 50. Il leader laburista ha così commentato la sentenza: «Questa decisione sottolinea il bisogno che il governo sottoponga senza ritardi al parlamento i termini del negoziato. Il partito laburista rispetta la decisione del popolo britannico di lasciare l’Unione Europea. Ma deve esserci trasparenza nei confronti del parlamento rispetto alla Brexit».

Oltre a scoprire il fianco di May alla proverbiale riottosità della destra euroscettica del suo partito, la sentenza offre anche un’insperata possibilità di rilancio all’Ukip di Nigel Farage, ultimamente incapace di trovare un segretario dopo le intermittenti dimissioni del leader carismatico. Il quale ha immediatamente espresso sinistri presagi: «Temo che si profili un tradimento e che si farà di tutto per bloccare o ritardare l’applicazione dell’articolo 50. Se così fosse, non hanno idea del livello di rabbia che provocherebbero».

NESSUNA DICHIARAZIONE ufficiale dal presidente dell’Ue Jean-Claude Juncker, che rispetta la decisione come affare interno della Gran Bretagna e che avrebbe discusso della questione con Theresa May oggi per via telefonica.