Consiglio europeo ad alta tensione, oggi e domani a Bruxelles. Due temi più che caldi sono al centro delle discussioni tra i 28 capi di stato e di governo: le richieste della Gran Bretagna per evitare un Brexit e la crisi dei rifugiati.
Alla vigilia, l’impressione è che tutti vogliano dare una mano a David Cameron perché alla fine si schieri per l’«in» in Europa al referendum che molto probabilmente si terrà il 23 giugno prossimo. Ci sono le concessioni avanzate dal presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, un compromesso presentato lo scorso 2 febbraio. L’intenzione è evacuare in fretta la questione britannica, per poter affrontare le spine dell’accoglienza dei rifugiati. C’è comunque irritazione sul problema del referendum britannico, perché appare soprattutto una questione di politica interna per Cameron, che sta trascinando tutti in una discussione in un momento assai inopportuno per la Ue. Ieri, Angela Merkel al Bundestag ha dichiarato che «su alcuni punti» le richieste di Cameron sono «giustificate e necessarie». Merkel, isolata sui migranti, si avvicina alla Gran Bretagna, allontanandosi dalla Francia.
François Hollande, che ha ricevuto questa settimana Cameron, ha escluso un diritto di veto britannico sulle decisioni della zona euro. Cameron vuole che la City sia esente dai controlli degli organi di regolazione del mercato unico dei servizi finanziari: una linea rossa inaccettabile per la Francia. Per Merkel sono invece pertinenti le richieste di Cameron su competitività, trasparenza, minore burocrazia.
Londra può evitare uno scontro, perché, come ha detto ieri Manuel Valls, «un Brexit sarebbe per la Ue uno choc difficile da immaginare». Anche se il primo ministro francese ha sottolineato che «l’Europa deve restare uno spazio di solidarietà tra stati, non si può scegliere à la carte»: Londra è già fuori dall’euro, non ha ratificato la Carta dei diritti fondamentali, si è ritirata da vari capitoli della cooperazione giudiziaria, gode del rebate sul budget e non è in Schengen.