«È stato un crimine ambientale». In questi termini il comandante Marco Alves, del commissariato di polizia di Rio Claro, ha parlato ieri della morte di Gonzalo Alonso Hernandez, un biologo spagnolo 49enne, che da 10 anni si trovava in Brasile per lottare contro la deforestazione e la caccia di frodo. Due cause per cui ora è stato ucciso con tre colpi di pistola alla testa e forse anche torturato. Biologo e presidente dell’Ong ecologista Instituto Terra, Alonso era arrivato a Rio de Janeiro per conto della multinazionale spagnola Telefonica, che l’aveva messo a capo di Vivo, la seconda compagnia di cellulari del Paese. Dopo tre anni da capitano d’industria, però, aveva cambiato la camicia per la maglietta, abbandonando tutto e scegliendo una vita frugale nella riserva naturale di Cunhambebe, a circa 130 chilometri dalla capitale carioca.

Usando come pulpito una delle cascate della riserva, Alonso denunciava i bracconieri e i piromani che, qui come in gran parte del Brasile, scatenano incendi di proporzioni provinciali per lasciare spazio all’allevamento di bestiame o alla coltivazione di soia e di cotone. Sotto quella stessa cascata, è stato ritrovato morto martedì, dopo essere scomparso da casa domenica sera. Un «chiaro messaggio simbolico», secondo la moglie, Maria de Lourdes, la quale sostiene che l’esecuzione sia avvenuta in realtà nella loro casa, dove la polizia ha trovato una quantità tale di sangue da far pensare addirittura alla possibilità che l’uomo sia stato torturato e poi trasportato sul luogo del ritrovamento.

Sebbene il governo brasiliano abbia attivato strumenti legali e tecnologici, e sia in parte riuscito a frenare l’abbattimento degli alberi, la deforestazione resta un fenomeno dilagante e controverso, con importanti conseguenze su scala globale. Negli anni Novanta, per esempio, si abbattevano in media 30 mila chilometri quadrati di bosco all’anno, mentre nel 2011 il dato era sceso fino a 6.500.Tra i principali paladini dell’Amazzonia c’è il governo degli Stati Uniti, al quale era indirettamente legata anche l’Ong di Alonso, e al quale Brasilia ha spesso contrapposto le proprie necessità di sviluppo e di produzione alimentare, davanti a una popolazione ancora in gran parte povera e denutrita. Gli attivisti sul campo, comunque, restano bersagli facili perché, come ha spiegato al quotidiano O Estado un compagno del biologo spagnolo, «esistono le leggi, ma non l’apparato di sicurezza».