Boschi, una fiducia che scotta
Bamche Mozione M5S contro la ministra. «Vedremo chi ha la maggioranza», ribatte lei. I numeri sono dalla sua parte, ma le opposizioni puntano a tenerla sulla graticola. I risparmiatori, insoddisfatti dall’incontro con Padoan, chiedono un faccia a faccia con Renzi
Bamche Mozione M5S contro la ministra. «Vedremo chi ha la maggioranza», ribatte lei. I numeri sono dalla sua parte, ma le opposizioni puntano a tenerla sulla graticola. I risparmiatori, insoddisfatti dall’incontro con Padoan, chiedono un faccia a faccia con Renzi
«Discuteremo in Aula, voteremo e poi vedremo chi ha la maggioranza»: per commentare la mozione di sfiducia presentata contro di lei dall’M5S Maria Elena Boschi sceglie la linea più laconica. E più imbarazzata, proseguendo in una strategia mediaticamente disastrosa. La ministra sa perfettamente che nel voto su quella mozione, che l’M5S ha chiesto alla presidente della Camera Boldrini di calendarizzare quanto prima, non ci sarà proprio niente «da vedere»: con i numeri di Montecitorio l’esito è scontato in partenza. La Lega e Sel voteranno per la sfiducia. Forza Italia quasi certamente pure, anche se l’ex ministro Matteoli invita alla prudenza: «Di solito le mozioni di sfiducia respinte rafforzano i ministri contro cui vengono presentate. Forza Italia ci pensi bene». Poco importa: i deputati del Pd basterebbero anche da soli a respingere la mozione: con l’appoggio del resto della maggioranza godranno di ampio vantaggio.
Maria Elena Boschi resterà ministra, ma è già una ministra azzoppata e in fondo la mozione di sfiducia serve proprio a rimarcarlo. I pentastellati hanno scelto di presentare la sfiducia alla Camera invece che al Senato, dove ci sarebbe stata un pochino di suspense in più, proprio per fare presto, battere il ferro finché è incandescente e massimizzare il danno sia per la Boschi che per l’intero governo. Nonché, naturalmente, per dimostrare al popolo presto votante chi più di ogni altro si batte contro il governo «amico delle banche truffatrici». Gli stessi dubbi di alcuni forzisti, in effetti, derivano probabilmente dalla paura di rafforzare non la sfiducianda ma gli sfiduciatori a cinque stelle.
Se i partiti d’opposizione sgomitano per aggiudicarsi la palma della forza politica più nemica di Maria Elena Boschi, il segnale è chiaro ed è stato infatti ben percepito a palazzo Chigi, dove l’attenzione per gli umori dell’elettorato è sempre desta. Renzi ha consigliato alla ministra più renziana che si possa immaginare di disertare l’inaugurazione della Leopolda, poi ha evitato con gran cura di difenderla troppo fragorosamente, infine non la ha fatta salire sul palco per la chiusura della kermesse: meglio evitare eccessive vicinanze, in date circostanze. Renzi ha spiegato la scelta di tenere un profilo così basso dicendosi convinto di essere lui il vero bersaglio. Di conseguenza mostrarsi a fianco della ministra avrebbe avuto il solo effetto di inferocire ulteriormente i lupi. Un modo discreto per difenderla, insomma. Sarà, ma crederci non è precisamente facile.
Tanto più che il presidente del consiglio ha fatto il possibile per tenersi alla larga non solo dalla figlia dell’ex vicepresidente di Banca Etruria ma dall’intera incresciosissima faccenda. Domenica, alla Leopolda, cinque rappresentanti delle «vittime del salva-banche» speravano di incontrarlo. Lui ha preferito spedire di fronte ai truffati il ministro dell’Economia. Padoan non è andato oltre qualche vago impegno: ai 100 milioni si aggiungeranno eventuali maggiori ricavi dovuti alla cessione della bad bank. Se poi il sistema bancario vorrà spontaneamente aggiungere qualcosina, perché no? Una specie di carità che comprensibilmente è stata considerata «irricevibile» e che ha spinto gli obbligazionisti truffati a chiedere un nuovo incontro, stavolta in sede istituzionale e direttamente con quel premier che domenica «ha rifiutato di incontrare noi pacifici manifestanti, venendo meno al nostro invito e alle dichiarazioni fatte ai media».
La mozione di sfiducia non sarà il solo passaggio rovente, a Montecitorio. Quando la legge di stabilità arriverà in aula, ci sarà accorpato il decreto salva-banche, con tutte le sue voci. Incluso il comma 3, art. 35 del dl 180 che, se non mette gli eventuali responsabili della truffa al riparo da azioni penali come erroneamente denunciato da una testata, gli fa però scudo dal rischio, molto più concreto, temibile e soprattutto temuto, di azioni civili. E non basta. Lo stesso decreto garantisce agli specchiati dirigenti della banche in questione di proseguire come se nulla fosse nella brillante carriera, presso altre istituti e alle prese con altre vittime, pardon obbligazionisti secondari. Che particolari simili passino lisci come l’olio è poco probabile.
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