È in arrivo una mozione di sfiducia contro la Boschi per la questione di Banca Etruria. Saviano chiede al ministro chiarezza, e dalla Leopolda viene un attacco alla libertà di stampa e di critica. Renzi con l’usuale arroganza ricopre di contumelie critici e avversari.
Tutto secondo copione, quindi? Certo, per un paese che non sa o non vuole essere normale. La mozione di sfiducia compatterà gli schieramenti, e il voto per appello nominale spingerà i malpancisti interni, già noti per la loro propensione al cedimento elastico e progressivo, ad allinearsi.

Ma altro preoccupa di più. Che il Pd di Renzi non fosse particolarmente sensibile alle libertà – ovviamente, altrui – lo sapevamo. Come anche sapevamo che Renzi preferisce l’invettiva e le battute agli argomenti. Ma un partito che, mentre detiene le chiavi del potere, stila classifiche di giornali e giornalisti buoni e cattivi di sicuro non è un bel vedere.
L’italian style è uno dei mantra renziani. Ma lo stile del governare di Renzi e del Pd a sua immagine non sarebbe mai un pezzo forte del nostro export. Nell’affaire Boschi il punto centrale non è tanto cosa il governo abbia fatto per le quattro banche. Tra i dodicimila e passa correntisti e risparmiatori coinvolti troveremmo sicuramente poveracci incolpevoli, e qualche furbacchione più avvertito degli altri. E può essere più o meno giusto che gli italiani tutti siano chiamati a mettere riparo tramite la fiscalità generale. È una scelta di governo, oggetto di una valutazione politica al pari di altre. Il comportamento dei protagonisti si colloca però su un piano diverso e autonomo, non meno meritevole di attenzione.

C’è chi chiede nuove norme sul conflitto di interessi. Può essere giusto in termini generali. Ma bisogna capire che ci sono situazioni nelle quali la regola più rigorosa non darebbe risposta. Un conflitto di interessi è semplice da evidenziare e affrontare sul piano giuridico quando nasce per una condizione o qualità imputabile specificamente a una persona. Ricoprire una certa carica pubblica, essere azionista o dirigente in un’azienda, e così via. Il caso Berlusconi insegna. Se è così, basta avere la forza politica di inserire quella qualità o condizione in una regola che ne faccia discendere la impossibilità di ricoprire questa o quella carica pubblica. Ma qui la domanda è: avrebbe il governo deciso in qualsiasi modo diversamente se la Boschi non fosse stata collegata al tema per il coinvolgimento del padre? Più che di conflitto di interessi, si discute dunque di una possibile indebita influenza sulle scelte di governo. E come si può dimostrare? Probabilmente – direbbero i giuristi – una prova diabolica.
Per quel che oggi sappiamo, e salvo novità, non siamo tanto nel campo del diritto, quanto in quello dell’etica pubblica e dello stile del governare. Cosa accade nelle stanze del potere, nel migliore dei mondi possibili, quando una vicenda imbarazzante si affaccia all’orizzonte? Si valuta la questione, e si gioca di anticipo. Separando, in modo visibile e chiaro per la pubblica opinione, le decisioni di governo dalle ragioni dell’imbarazzo.

Supponiamo che la Boschi, essendo informata dei fatti, avesse anticipato tutti convocando lei stessa una conferenza stampa, raccontando in chiaro la vicenda in ogni dettaglio, e dimostrando di non avere in essa alcun personale coinvolgimento. Supponiamo che si fosse recata dal presidente del consiglio e avesse offerto le sue dimissioni, non per l’essere coinvolta in alcun modo, ma per evitare appunto qualsiasi fallout negativo sulla squadra. Cosa avremmo pensato? Che finalmente il potere aveva dismesso l’abito antico aprendo alla modernità. Invece il messaggio è che la Boschi si aggiunge alla troppo lunga lista di titolari di cariche di cariche pubbliche che non c’erano, non sapevano, non avevano capito, non avevano visto o sentito, e comunque non c’entravano nulla.
Il punto è che la Boschi non può semplicemente cavarsela dicendo di non avere partecipato al consiglio dei ministri che ha deciso. In casi simili le assenze possono essere programmate, e poco significano. Né può il premier cavarsela scagliando invettive contro speculazioni e ricostruzioni a suo dire fantasiose. Né può un partito di governo uscirsene con le classifiche dei buoni e dei cattivi. È utile che ci sia una mozione di sfiducia in campo, anche se certamente non porterà alle dimissioni. Sappiamo bene che la sfiducia al singolo ministro produce in genere l’effetto di compattare al suo sostegno tutta la maggioranza, compresi quelli che magari lo vorrebbero morto. L’unico caso contrario (Mancuso) ne offre piena prova. Ma la mozione consentirà che sia fatta nella sede appropriata dell’aula parlamentare la chiarezza giustamente sollecitata.
Vorremmo un paese in cui chiarimenti o dimissioni fossero dati prima di essere richiesti o pretesi. Come al premier piace dire, non è questione di destra o di sinistra. Non saremo mai un paese normale se non porremo l’asticella politica ben più in alto di quella giuridica, e specificamente giudiziaria. E fin quando questo non accadrà il nuovo – anche quello di Renzi – avrà il sapore polveroso e stantio del vecchio. L’unica via sarà rottamare i rottamatori.