Il danzatore come un archivio vivente, una visione dinamica dell’arte del XX secolo e oltre che rende attuali i capolavori del passato attraverso la mobilità della creazione contemporanea. Che siano i suoi progetti corali, aperti, dal Moma di New York alla Tate Modern di Londra, a centinaia di persone o le sue coreografie, come il travolgente assolo Somnole, presentato in prima italiana per Fog 2022 alla Triennale Milano, Boris Charmatz, francese, classe 1973, è un artista che rende partecipe del trasformismo innato del fare danza. Autore di fecondi progetti come il nomadico Le Musée de la Danse, ideato durante la direzione del Centre Chorégraphique National de Rennes et de Bretagne (2009-2018), e come [terrain], basato su un dance ground ideato all’aperto, Charmatz dal prossimo settembre sarà il nuovo direttore del Tanztheater Wuppertal Pina Bausch. Lo abbiamo incontrato in Triennale.

Quali sono gli elementi chiave del progetto [terrain]? Intende svilupparlo anche a Wuppertal?

Per dieci anni ho curato a Rennes il progetto Le Musée de la Danse, uno spazio sperimentale per il pensiero e per la pratica, interessandomi nel frattempo agli spazi pubblici all’aperto. Sono giunto alla visione di un Centro Coreografico Nazionale privo di muri, non un edificio, ma un terreno, uno spazio verde definito dalle attività e dai corpi che lo attraversano. Luoghi della storia della danza novecentesca come Monte Verità in Svizzera e il Black Mountain in America rappresentano il desiderio di scappare dalla città per ritrovare la natura. Oggi sentiamo la necessità di ripensare la natura dentro le città, di riflettere sulla biodiversità dentro le metropoli. è uno spazio aperto connesso al clima, alla gente che passa, alla luce che lo illumina. Non comporta smettere di fare spettacoli in teatro, ma sviluppare nuove risorse.
Quando sono stato chiamato a Wuppertal, la compagnia aveva bisogno di un nuovo studio. Perché non pensarne uno all’aperto, un dance ground senza pareti, né soffitto? Pina Bausch ha creato capolavori per grandi teatri, ma ha anche firmato la regia di un film come Il lamento dell’imperatrice, così connesso al paesaggio. Vedo come una simbolica ventata di aria fresca per il Tanztheater Wuppertal: aprire le finestre, uscire all’aria aperta e costruire qualcosa di nuovo. Ho parlato di una mia fantasia a Peter Pabst, che tante scenografie ha firmato per Pina. Prendere un suo lavoro, farlo senza costumi, senza scene, al posto della musica emessa dagli altoparlanti, cantare a cappella, all’aperto, magari sotto la pioggia… Avevo paura di cosa Peter potesse dire, le sue scene sono così parte dei pezzi, ma la risposta è stata: questa compagnia ha bisogno di libertà, di un artista, di un coreografo che la diriga per andare avanti.

Cosa ha in mente?

L’estetica di Pina è il tanztheater, che continuerà naturalmente a vivere insieme alla compagnia, penso a titoli che ho sempre voglia di vedere in scena come Nelken, Viktor, Kontakhof, ma vorrei anche lavorare in diversi contesti, rapportandosi alla situazione di oggi, ai cambiamenti climatici, le migrazioni, le minacce alla democrazia in Europa. Quando Pina è morta, l’AfD, il partito di estrema destra in Germania, non esisteva, il mondo si è mosso, e non sto solo parlando del Covid o della guerra in Ucraina. Stiamo vivendo una situazione molto differente da tredici anni fa e vorrei che questa compagnia facesse viaggiare Bausch tra allora e ciò di cui abbiamo bisogno adesso per portare la sua eredità nel futuro.

Qualche progetto specifico?

Il primo è per duecento persone, amatori, attori, studenti da Essen. Penso anche a cosa significa arrivare in una città con una compagnia di 35 persone. Se ogni danzatore tenesse un workshop? Condivideremmo un sapere immenso.

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Nel suo lavoro, il rapporto con il repertorio della danza contemporanea è molto presente, vedi i pezzi di Forsythe, Cunningham, Anne Teresa De Keersmaeker, Sciarroni che hanno invaso la Triennale qualche mese fa con il progetto «20 danzatori per il XX secolo e oltre». Cosa pensa per il repertorio di Pina?

Non c’è un unico modo per occuparsi del repertorio. Ogni volta che riprendi un pezzo fai delle scelte, nuovi danzatori, nuovi corpi. Con il repertorio di Pina, vorrei prendere delle decisioni, come del resto lei faceva! Penso a quando diede La Sagra della primavera all’Opera di Parigi, o ai tre Kontakhof, fatto con i suoi danzatori, gli anziani, gli adolescenti. Pina è un genio: potrebbe avvenire con lei lo stesso che accade con Shakespeare: quanti modi di metterlo in scena! Io vorrei lavorare sul suo repertorio creando delle «selvagge affinità elettive»: connetterla con Valeska Gert, Raimund Hoghe, Susanne Linke, Reinhld Hoffmann, certamente Wim Wenders, ma magari anche Fassbinder. Qualcosa di simile al progetto 20 danzatori per il XX secolo e oltre, una sorta di esposizione sulle affinità elettive. Lavorerò anche con la Pina Bausch Foundation, che è un’altra cosa rispetto alla compagnia, e programmerò oltre al repertorio nuove creazioni.

È anche un grande danzatore. La vedremo in compagnia?

Non è la mia priorità. La compagnia ha bisogno di un occhio esterno, certo, Salomon Bausch, il figlio di Pina, mi ha appena detto che rimettono in scena Café Müller, chiedendomi «perché non lo danzi?». La prossima stagione era già programmata, la mia prima vera direzione sarà nel 23/24. Avrò tempo per continuare a danzare Somnole e chissà, forse anche Café Müller. Nel Tanztheater Wuppertal ci sono danzatori che hanno 60 anni e altri che ne hanno 20. Io di anni ne ho 49, sono nel mezzo, non so se sarei bravo nell’estetica di Pina, così specifica, ma questa convivenza di generazioni nello stesso gruppo è qualcosa di unico con cui sarà bellissimo lavorare.