Prima di ferragosto non poteva mancare l’ultimo dato (negativo) sulla nostra economia: e poi via, da lunedì prossimo si riparte. Per una nuova stagione. Irta però, lo temiamo, di tagli e contro-riforme. Prima i numeri: la Banca d’Italia ieri ha pubblicato il suo rapporto sul debito pubblico. Ebbene, il rosso dei conti italiani quest’anno è schizzato all’insù, battendo un nuovo record storico: l’aumento in giugno è stato di 2 miliardi di euro, e l’intero stock ha così raggiunto i 2.168, 4 miliardi.

Ancora più eloquente l’incremento dei primi 6 mesi del 2014: il debito pubblico è aumentato di 99,1 miliardi, grazie alla sommatoria di diversi fattori. Innanzitutto il fabbisogno della macchina statale (pari a 36,2 miliardi), ma ha contribuito anche l’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (67,6 miliardi). L’aumento però è stato contenuto, per 4,8 miliardi di euro, dall’apprezzamento dell’euro e dalla rivalutazione dei buoni del Tesoro (Btpi).

Giù, a causa della crisi, anche le entrate tributarie: 42,7 miliardi in giugno (-3,5 miliardi, pari a -7,7%, rispetto allo stesso mese del 2013). Nei primi sei mesi dell’anno le entrate sono diminuite dello 0,7% (1,3 miliardi) a 188,1 miliardi.

L’incremento del debito – e le crescenti difficoltà sul deficit – rendono purtroppo ancora più pressanti gli impegni europei: il Patto di stabilità e il Fiscal Compact. E va ricordato che il Pil continua a far fatica a crescere, mentre i prezzi sono entrati in spirale deflattiva. Tutte aggravanti.

Ci possiamo aspettare quindi un governo ancora più determinato a tagliare, e ad accelerare i progetti di spending review (insieme agli sprechi, via il welfare?). D’altronde, qual è stato l’oggetto degli incontri del premier Matteo Renzi prima con il governatore della Bce, Mario Draghi, e poi con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano? Il piatto forte della politica d’autunno sono le “riforme” economiche.

Vanno inclusi nei tagli che ci aspettano, anche quelli ai diritti. Il dibattito sull’articolo 18 di questi giorni, seppure aperto da Angelino Alfano probabilmente per aumentare la visibilità dell’Ncd, contiene però un fondo di “verità”: ovvero che la “tutela delle tutele”, l’ultimo argine dai licenziamenti ingiustificati, è in pericolo. Uno strumento, l’articolo 18, che garantisce la sopravvivenza del sindacato, e quindi, seppur indirettamente, una difesa per i precari.

Ma ora, nella generale riforma dello Statuto dei lavoratori – annunciata dal premier – potrebbe rischiare di saltare anche l’articolo 18. Che sarà pure un «totem», di cui «è inutile adesso discutere se abolirlo o meno» (parola di Renzi), ma appunto la minaccia non per questo è esclusa.

I pasdaran dell’abolizione, Alfano e il super teorico Maurizio Sacconi, presidente della Commissione Lavoro del Senato, hanno spiegato che la riforma dello Statuto, attuata con il Jobs Act in discussione da settembre, avverrà attraverso i «decreti delegati», strumento parlamentare che prevede un parere «non vincolante» delle commissioni. Quindi l’iter sarà ancora più agevole, se si vorrà smontare il 18: E a maggior ragione, se Forza Italia darà il suo sostegno.

Già da giorni Renato Brunetta e Giovanni Toti corteggiano Renzi, perché Forza Italia vorrebbe allargare il Patto del Nazareno anche alle misure economiche. Ieri un tweet simpatizzante, a commento del boom del debito, da parte di Brunetta: «matteorenzi Bum! Ma bisogna volergli bene… è pur sempre il nostro presidente». E se lo dice lui…

Quanto ai fondi comunitari, e all’allarme dell’Eurispes, secondo cui staremmo sprecando anche quelli del ciclo 2014-2020, ieri la Commissione Ue ha rassicurato: «I negoziati con Roma sull’accordo di partenariato per il 2014-2020 sono a fine. Per questo non c’è rischio che l’Italia possa perdere i 41 miliardi di fondi Ue della programmazione».

E lo stesso presidente del consiglio Renzi ha garantito: «I fondi Ue l’Italia negli ultimi decenni li ha spesi peggio di come avrebbe potuto. Il nostro governo cercherà di cambiare il modello: dobbiamo fare come i polacchi, che spendono il 98%».